Come fa la guerra un soldato israeliano? Può avere ogni età, può fare qualsiasi mestiere, può non aver preso un'arma in mano da secoli. Adesso però è là, per esempio a Tze'elim, una delle basi più grandi, diritta di fronte a Gaza sulla sabbia gialla. Vuole liberare il suo Paese dall'incubo della presenza del terrorismo di Hamas sul suo confine. È concentrato su questo e aspetta l'ordine di tornare a combattere dopo la tregua per liberare gli ostaggi, l'altro compito sui tiene molto. È un soldato molto più antico e pieno di sentimenti di quanto la sua psiche postmoderna, in un Paese tecnologico, lasci immaginare. La sua intenzione è precisa: never again con Hamas, e freme un po' aspettando l'ordine mentre siede sulla sabbia. File di baracche e tende disordinate oltre la misura ospitano migliaia di soldati di tutte le compagnie e di tutte le specialità. Il mosaico si compone sulla brigata di riservisti che incontriamo, la 252: sono «miluim» oltre il servizio di leva di tre anni o di due se sono ragazze. Hanno sempre sotto il letto la «borsa del miluim»; se il telefono suona, come è accaduto il 7 ottobre, si precipitano sia che siano a Tel Aviv o in viaggio in Giappone, di sinistra o di destra, professori o tassisti... I soldati del miluim si strappano dalla camera operatoria e dalla bottega, dallo studio di avvocato e dall'autobus che guidano.
Il comandante A. è un fisico, magro, capelli grigi, sorriso gentile. È religioso, la mattina del 7 ottobre era in sinagoga, senza telefono. L'hanno chiamato dicendogli «sta succedendo qualcosa di mai visto prima». È corso al suo punto di raccolta, al Sud, non ha più lasciato il grigioverde e i carri armati. Beit Hanoun è la missione della 252. «La mia brigata ha avuto dopo pochi giorni di guerra il compito di prendere questa punta di diamante di Hamas, Beith Hanoun, riccaforte missilistica, 50mila abitanti circa, nell'angolo estremo, di fronte alla città più bombardata di Israele, Sderot». Appena arrivati tutte le riserve sono state gettate alla difesa dei cittadini dei kibbutz trucidati e rapiti: davano la caccia agli uomini di Hamas rimasti per le strade e nelle case, raccoglievano i feriti e i morti nei campi e sulle strade. A. socchiude gli occhi: ha visto l'inferno. Poi con la guerra, le sue riserve hanno dovuto prima di tutto imparare ciò che non sapevano più, usando una specie di modello di Gaza: una città finta in cui si entra, si spara, si esce, ci si arrampica, si assale, si praticano le gallerie piene di tritolo, ci si allena contro gli agguati, i cecchini, gli Rpg. «Ma una volta dentro, abbiamo dovuto imparare subito una lezione: l'agguato di Beith Hanoun è nel suo cuore, non nelle cerchia esterna. Quelle i terroristi te le lasciano passare facilmente. Una fila di case, due, tre, ed ecco è là che Hamas ti aspetta. Dove non te l'immagini, nelle strutture civili». A. ferma il racconto e spiega: se decidiamo di distruggere una struttura e ci sono dentro civili, noi avvertiamo. Ci sono regole precise per valutare se dobbiamo necessariamente agire, e se è indispensabile perché altrimenti ne va della vita dei soldati o dei cittadini israeliani, cerchiamo comunque di debellare il loro uso continuo di scudi umani cercando di spostare la completamente. «Zero i uccisi a Ben Hanoun» dice contento.
Nelle battaglie in città ci sono stati soldati israeliani uccisi in varie circostanze. A volte i mezzi corazzati sono stati colpiti in agguati, ma il maggiore Moshe, capo del settore ingegneria, un 50enne che lavora nell'high tech e che dal 7 è sul campo spiega: «Un esercito in genere avanza su un territorio che, una volta occupato, è la linea di partenza del tuo prossimo passo. Ma qui tramite le gallerie sotto il terreno, d'un tratto ti troverai il nemico alle spalle che ti spara». Così, grandi energie sono state spese per individuare le gallerie: «E con grande sorpresa, e l'uso di strumenti sofisticati, anche subendo a volte esplosioni inaspettate dato che la specialità di Hamas è minare tutto quanto con grandi quantità di esplosivo, abbiamo dovuto capire in fretta che le gallerie erano una rete molto sofisticata, non quei buchi di varie dimensioni scavati qua e là, ma una ragnatela enorme che convergeva sul centro urbano. Qui sono le strutture che le proteggevano con la gente usata da Hamas. La moschea, la scuola, l'ospedale, la piscina pubblica, e negli edifici le camere dei bambini, persino i loro letti. Armi ovunque. Per scavare e per entrarci e anche per essere certi di non andare a toccare gli ostaggi, abbiamo cambiato tecnica tutti i giorni. Adesso in questa città smantellata, da cui avevamo fatto uscire la gente... un po' di persone hanno ripreso a girare. Tornano. Possiamo bloccarli, ma non attaccarli né avvicinarli, c'è la tregua». Ma due giorni fa ci sono stati tre soldati feriti. «Vero e abbiamo risposto al fuoco. Se siamo in pericolo rispondiamo. Alcuni certo preparano la ripresa armata, altri, forse rubano, altri sono cecchini pronti a sparare, altri ci osservano. Ma noi siamo in tregua, agiamo secondo le regole di difesa». E voi non vi preparate a tornare in campo? «Abbiamo due modalità di stare in guerra: l'offensiva e la difesa. L'offensiva è molto più facile, affronti il nemico, ti puoi muovere. La difesa è snervante, anche pericolosa, specie quando ci sono in giro civili. Ci sono tante cose da fare comunque - rassicura -, per esempio avevamo smantellato completamente il sistema esplosivo dentro un edificio, e poi ci siamo accorti che era tutto minato di nuovo».
E Hamas dov'è in tutto ciò? «Hamas è nei dintorni, più facile da affrontare che da sopportare mentre non ci si può muovere. Allora si aspettano gli ordini. Il compito è: distruggere Hamas e riportare a casa i rapiti». Questo è, e niente altro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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