Il non luogo chiamato festa dell'Unità

Sembra solo un fastidioso caso di omonimia. L'unità non è l'unità. È un equivoco, un inghippo, un veto, un contenzioso, un non riconoscimento, una festa senza identità, un giornale rinnegato

Il non luogo chiamato festa dell'Unità
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di Vittorio Macioce

Sembra solo un fastidioso caso di omonimia. L'unità non è l'unità. È un equivoco, un inghippo, un veto, un contenzioso, un non riconoscimento, una festa senza identità, un giornale rinnegato. Elly Schlein quel quotidiano non lo vuole neppure vedere. Per lei è un falso. È così che per tutta l'estate l'Unità è stata messa al bando da tutte le feste dell'Unità. È roba reietta. Quel foglio ha un direttore come Piero Sansonetti, un vecchio rifondarolo ormai apostata con il peccato per nulla veniale di fare del garantismo una bandiera. Questa è un'antipatia epidermica, ma c'è un contrasto molto più profondo. È quella con l'editore Alfredo Romeo, uno che l'anima giacobina del partito sospetta di aver messo le mani sulla città, ma soprattutto così poco allineato da aver messo l'altro quotidiano, il Riformista, nelle mani ingombranti di Matteo Renzi. Matteo, l'arcinemico, quello che ha portato il Pd al 40 per cento e poi con la scusa di rottamarlo lo ha privato di ogni nostalgia. È quello in fondo il suo reato più grande. Solo che senza Renzi una come Elly Schlein non sarebbe mai diventata segretaria della ditta. Elly non lo sa ma lei esiste perché prima c'è stato Matteo. Non lo ammetterà mai e per questo vuole cancellare ogni traccia.

Ora è vero che il Pd è da troppo tempo il partito deluso e disilluso, solo che in questa estate degli equivoci si sta davvero incartando sulle proprie origini. Perché la festa del Pd si chiama dell'unità? È, a pensarci bene, la cicatrice di una svolta che forse a livello culturale non c'è mai stata. Il Pd non ha più nulla del Pci. Non ne ha la ragione sociale e neppure la forza popolare. Quello che resta è una patina ideologica senza radici. La Festa dell'Unità, quella vera, nasce in Lombardia, a Mariano Comense e Lentate sul Seveso, il 2 settembre 1945. La guerra è finita da pochi mesi. L'idea è una «grande scampagnata», come si legge nel primo manifesto, per finanziare il quotidiano di partito. I primi ospiti sono Giorgio Amendola, Luigi Longo, Emilio Sereni e Giancarlo Pajetta. Ci sono le bandiere rosse e la falce e martello. Questa estate a Reggio Emilia le bandiere erano tutte rosa, in onore di Barbie. Il Pd poi è un mezzosangue, nasce come mutazione di ciò che restava della Dc e del Pci.

È la versione globalista dei fantasmi dei due grandi partiti popolari italiani. È, di fatto, un non luogo. A questo punto conviene archiviare la festa dell'Unità e rispolverare quella democristiana dell'Amicizia. Il senso sarebbe lo stesso.

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