
Nell'ex Jugoslavia il fuoco cova sempre sotto le ceneri dalla Bosnia al Kosovo, dove la tensioni etniche riaffiorano a singhiozzo, come un fiume carsico. L'ultima scintilla arriva dalla Bosnia Erzegovina con il nuovo braccio di ferro fra i serbi, il rappresentante della comunità internazionale e le altre componenti etniche dell'autorità di Sarajevo.
Milorad Dodik, presidente della Republica Srpska, l'entità serba del paese, è stato condannato a fine febbraio a un anno di carcere e altri sei di interdizione dai pubblici uffici per non aver rispettato l'autorità del tedesco Christian Schmidt. L'Alto rappresentante internazionale è incaricato di far rispettare l'applicazione dell'accordo di pace di Dayton che mise fine alla guerra etnica. Un sanguinoso conflitto fratricida che fra il 1992 e il 1995 provocò centomila morti.
«Questo verdetto mi ricorda irresistibilmente una dichiarazione del Politburo del Partito Comunista dell'Urss: un pamphlet politico spudorato» è stata la reazione a caldo di Dodik. Poi è andato avanti, con una specie di rappresaglia, facendo promulgare quattro leggi dal parlamento serbo di Banya Luka che nega l'autorità centrale bosniaca in materia di polizia e giustizia sul territorio della Republica Srpska.
La risposta di Sarajevo non si è fatta attendere con il ministro degli Esteri bosniaco, Elmedin Konakovi, che ha parlato senza mezzi termini di «un colpo di Stato da manuale». Dodik ha rincarato la dose invitando gli agenti serbi della Sipa, la polizia speciale unitaria, a passare armi e bagagli con il ministero dell'Interno della Republica Srpska.
Secondo il capopopolo serbo, un tempo pupillo degli americani, ma oggi amico del nuovo zar, Vladimir Putin, le «quattro leggi approvate dall'Assemblea nazionale (serba nda) ridanno soggettività e competenze costituzionali» a Banja Luka, «dopo 25 anni». Dodik sostiene che è un diritto dei serbi previsto dalla Costituzione nata dagli accordi di pace di Dayton. Il timore è che sia un ulteriore passo verso lo spettro della secessione. Dodik gode dell'appoggio della Russia, che ha interesse, dall'invasione dell'Ucraina, a tenere sempre accesi focolai di tensione, non solo nei Balcani occidentali, come spine nel fianco dell'Europa.
Nessuno, a parole, vuole che tornino ad aleggiare i fantasmi della guerra etnica, ma la missione internazionale Eufor, che garantisce il rispetto di Dayton è in stato di allerta. Il contingente era stato ridotto da tempo da 6mila uomini a poco più di mille, compresi 160 soldati italiani. Dopo l'impennata della tensione stanno arrivando rinforzi, compresi dall'Italia, come deterrenza.
Il segretario generale dell'Alleanza atlantica, Mark Rutte (nella foto), è volato due giorni fa a Sarajevo, per ribadire che «tre decenni dopo l'accordo di Dayton, la Nato resta fermamente impegnata per la stabilità e la sicurezza di questa regione».
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