Dove finisce la libertà di espressione? È lecito oltraggiare una cultura o una religione diversa? A queste domande cercano di rispondere in queste ore gli esperti giuridici dei governi di Svezia e Danimarca.
Nelle ultime settimane le capitali dei due paesi nordici sono state il teatro di una serie di dimostrazioni politiche culminate nel rogo del Corano. Solo ieri due dimostranti hanno bruciato il libro sacro all'islam davanti alla sede del Riksdag, il Parlamento svedese a Stoccolma. Prima di darlo alle fiamme i due uomini hanno calpestato e sbattuto il Corano. Nei giorni precedenti analoghi gesti dissacratori erano stati organizzati davanti all'ambasciata irachena, davanti a una moschea e davanti all'ambasciata turca sempre nella capitale svedese.
Vuoi perché c'era da dimostrare contro la Turchia che chiedeva un giro di vite contro i curdi come condizione per permettere alla Svezia di entrare nella Nato, vuoi perché il nazionalista xenofobo di turno intendeva sconcertare gli immigrati islamici, vuoi perché il rifugiato in fuga da una teocrazia mediorientale voleva levare la propria voce contro i mullah, dare alle fiamme al Corano è diventata la regola nel regno di Carlo XVI Gustavo. Per protesta, a metà luglio un immigrato siriano, Ahmad Alloush, aveva chiesto alle autorità il permesso di bruciare la Torah permesso subito accordato ma poi il 32enne ha rinunciato spiegando che voleva solo attirare l'attenzione su un problema.
Un problema che esiste e che imbarazza i governi. I governi di Svezia e Danimarca cercano di correre ai ripari cercando appigli legali per fermare le manifestazioni, ma trovano lo sbarramento dei partiti di sinistra. Il ministero degli Esteri della Danimarca ha spiegato che il governo sta valutando di intervenire in alcune proteste in cui «vengono insultati altri Paesi, culture e religioni». La nazione nordica tiene alla sua reputazione di società pacifica e tollerante mentre a causa delle ultime proteste è vista come un paese che «si presta all'insulto e alla denigrazione delle culture». Con i suoi 56 membri distribuiti su quattro continenti, l'Organizzazione della cooperazione islamica (Oci) ha convocato una riunione di emergenza per discutere dei recenti roghi del Corano in Svezia e Danimarca. Fra i membri dell'Oci, la convocazione e la ramanzina all'ambasciatore svedese o danese di turno è diventata la regola. Cambiare le regole non è però cosa facile: nel regno di Margherita II la legislazione che regolava la blasfemia è stata abolita nel 2017 e reintrodurla appare problematico. Stesso problema più a nord: ieri il ministro della Giustizia svedese Gunnar Strömmer ha scritto al rabbino Menachem Margolin della European Jewish Association assicurandogli che Stoccolma «sta conducendo un processo di analisi della situazione legale alla luce della recente profanazione dei libri sacri che non riflette in alcun modo le opinioni del governo»: E ancora: «Il fatto che un atto sia legale non significa che sia appropriato». Segnare una riga rossa per distinguere la libertà di parole dall'incitamento all'odio non sarà facile.
Ieri il primo ministro svedese, Ulf Kristersson, alla testa di una coalizione fra i suoi moderati, i
cristiano democratici e i liberali con l'appoggio dei sovranisti xenofobi dei Democratici Svedesi, ha reso noto che il suo ufficio resta collegato con quello della premier danese Mette Frederiksen, leader socialdemocratica.
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