«Chi ha la licenza per il porto d'armi, è il momento che la usi»: un messaggio certo non costruito per calmare l'ansia e la paura, ma che avverte invece la popolazione che ancora bisogna stare in guardia, che siamo nel mezzo di una difficile vicenda tutta da districare. Israele da giorni seppellisce le sue vittime del terrorismo, tutte giovani, nella disperazione delle famiglie, nella rabbia di non sentirsi abbastanza difesi. «Ce la faremo, li batteremo e vinceremo come tutte le altre volte» ha incoraggiato il primo ministro Naftali Bennett nello stesso messaggio in cui ha annunciato nuove misure di sicurezza dopo una riunione drammatica in cui si sono aumentate le forze di sicurezza e i loro mezzi.
Si combatte, si fruga, si ferma ma l'allargamento del numero dei palestinesi che possono entrare in Israele resta allargato di 30mila oltre i 90mila consueti, e le moschee sono aperte per l'inizio di Ramadan. È un difficile equilibrio: a Jenin si è svolta una vera battaglia con 31 fermati, si sequestrano impressionanti depositi di armi fuorilegge anche dentro i confini di Israele. La nuova ondata terrorista colpisce tutti gli angoli del Paese. L'attacco ha fatto 11 morti in una settimana, può piombarti addosso ovunque: ieri di nuovo un passeggero di un autobus vicino a Neve Daniel è stato ridotto in condizioni gravi, pugnalato con un cacciavite prima che un altro viaggiatore riuscisse a fermare il terrorista con un colpo di pistola. Israele è colpita lungo tutta la mappa: a Tel Aviv, nel quartiere di Bnei Brak, hanno trovato la morte 5 persone, fra cui un padre che ha difeso il proprio bambino, e un ufficiale di polizia, Amid Khouri, arabo cristiano, l'eroe che ha fermato il terrorista armato di kalashnikov; a Hadera i morti sono due guardie di frontiera di 19 anni, una ragazza e un ragazzo druso; a Beersheba, quattro uccisi a coltellate, fra cui tre donne che facevano acquisti. Il governo cerca di tamponare una situazione che rischia la frana, mentre i palestinesi esaltano come eroi e martiri i terroristi come al tempo della Seconda Intifada, quando in tre anni dal 2000 il terrore suicida fece circa 1500 assassinati; 20 anni fa precisi il 27 marzo al Park Hotel di Netanya, un terrorista suicida alla cena di Pasqua fece 29 morti; nel 2015-16 l'Intifada dei coltelli ha colpito ancora.
Un anno fa la guerra con Gaza ha seguito la foga islamista del Ramadan, un momento che Hamas usa sempre per innescare la violenza. Ora, l'ondata ha portato con sé due rivendicazioni dell'Isis, ma lo sfondo è quello dell'odio ideologico per lo Stato Ebraico, delegittimato come «apartheid», «razzista», «genocida». Un movimento ideologico che trova sostegno in Occidente, e incoraggia il terrore. Hamas ieri ha promesso «una nuova sorpresa».
Il terrorista di Bnei Berak appartiene al gruppo di Fatah dei Martiri di Al Aqsa. Abu Mazen con un comunicato imbarazzato ha condannato l'attentato, trascinato dal mondo arabo che si è unito alle condoglianze occidentali. Ma i social media seguitano a esaltare i martiri «shahid».
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