Fine progressiva degli aiuti alle imprese, quindi i famosi «ristori» alimentati dalla spesa corrente in deficit che si esauriranno alla fine dell'anno, ma anche una spinta agli investimenti finanziati dai fondi europei. Che questa linea fosse nel Dna del governo guidato da Mario Draghi era noto, ma ieri la nuova fase è stata battezzata dallo stesso premier e dal ministro dell'Economia Daniele Franco, nel corso di due appuntamenti diversi.
Draghi si è collegato in teleconferenza all'evento «Sud - Progetti per ripartire», organizzato dalla ministra per il Sud e la Coesione territoriale Mara Carfagna. Al centro del suo intervento i fondi europei e il timore che il sistema non sia in grado di spenderli e utilizzarli al meglio.
Occorre «divenire capaci di spendere» i fondi Ue «e di farlo bene, è obiettivo primario di questo governo», ha spiegato. Il rischio è che si ripetano gli errori del passato. «A fronte di 47,3 miliardi di euro programmati nel Fondo per lo Sviluppo e la Coesione dal 2014 al 2020, alla fine dello scorso anno erano stati spesi poco più di 3 miliardi, il 6,7 per cento», ha spiegato. Male anche la realizzazione delle opere. «Nel 2017, in Italia erano state avviate ma non completate 647 opere pubbliche. In oltre due terzi dei casi, non si era nemmeno arrivati alla metà. Il 70% di queste opere non completate era localizzato al Sud, per un valore di 2 miliardi». Quindi le aree che ne avevano più bisogno sono quelle che non sono state in grado di spendere i soldi erogati prima della pandemia. Anche la spesa pubblica per investimenti al Sud è diminuita. Tra il 2009 e il 2018 «si è infatti più che dimezzata ed è passata da 21 a poco più di 10 miliardi». Ora con il Recovery Fund l'ultima chiamata per il Sud. «Le risorse di Next Generation Eu si aggiungono ad ulteriori programmi europei e ai fondi per la coesione, che mettono a disposizione altri 96 miliardi per il Sud nei prossimi anni», ha quantificato il premier.
Il messaggio è destinato alla politica locale del mezzogiorno e agli amministratori frenati dalla paura della firma, alla quale aveva fatto riferimento lo stesso premier poco tempo fa. Ma anche alle istituzioni europee, con la rassicurazione che le prossime spese dell'Italia saranno soprattutto quelle in conto capitale. Investimenti, nei grandi capitoli del Next generation Eu, dalla digitalizzazione alla transizione ecologica, alle infrastrutture e la mobilità sostenibile, l'inclusione sociale.
C'è anche il Sud. «Il programma Next Generation Eu prevede per l'Italia 191,5 miliardi da spendere entro il 2026. Rafforzare la coesione territoriale in Europa e favorire la transizione digitale ed ecologica sono alcuni tra i suoi obiettivi. Ciò significa far ripartire il processo di convergenza tra Mezzogiorno e Centro-Nord che è fermo da decenni», ha ricordato il presidente del Consiglio.
Altro capitolo è quello donne e giovani, destinatari degli investimenti finanziati dall'Europa per fermare «l'allargamento del divario e dirigere». Più in generale «il recupero della fiducia nella legalità e nelle istituzioni, siano esse la scuola, la sanità o la giustizia».
Dalla economia di guerra del discorso di insediamento di Draghi l'Italia sta quindi per passare ad un abbozzo di ricostruzione.
La prospettiva è che anche gli aiuti alle imprese si riducano gradualmente. Il ministro dell'Economia ieri ha rivelato che il governo pensa a «un'uscita graduale» dalle misure di sostegno all'economia «verso la fine dell'anno».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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