Nella maggioranza e nei piani alti della politica diventa un gioco delle parti il disagio di facciata per lo strapotere esecutivo e mediatico del presidente del Consiglio Conte durante l'emergenza Coronavirus. In democrazia, se il premier esonda, ci sono mille modi per rimetterlo in carreggiata, prima tra tutte l'arma del licenziamento. Che però in casa giallorossa sono tutti bene attenti ad evitare.
Nel teatrino della politica, dove non cala mai il sipario e neppure le mascherine, diventa persino conveniente per gli alleati fingere di essere travolti da un Bonaparte con la pochette in vena di esaltazione politica e personalistica, piuttosto che riportare l'attività di governo nei binari di una corretta normalità istituzionale.
Invece l'immagine del Paese in guerra, a Palazzo Chigi viene intesa come un accrescimento smisurato delle prerogative del premier. Pioggia di «Dpcm», esposizione mediatica studiata sul filo del cinismo, conferenze stampa sudamericane dove si bastona l'opposizione, costante emarginazione di organismi e figure che in questa fase possano ridimensionare il protagonismo di Giuseppe Conte. Oggi proposto come il commissario straordinario del Paese, domani magari come un avvocato neppure eletto in Parlamento che si era lasciato prendere la mano. Il capro espiatorio perfetto per chi sta già tramando per sopravvivergli politicamente.
Ci ritroviamo in un Paese infetto con 60 milioni di cittadini in quarantena mentre uno soltanto (il capo del governo) gode di libertà politiche straordinarie che non erano mai state accordate a un suo predecessore. I parlamentari si ritrovano nelle rispettive Camere tra assenze, misure di distanziamento, scaglionamenti per ordine alfabetico. Lo svuotamento delle fabbriche e delle strade ha sospeso, oltre all'attività di tutti i giorni, anche qualsiasi forma di dissenso espresso con la presenza fisica. I social, per fortuna eh, lasciano il tempo che trovano tra petizioni per cancellare il Parlamento e convocazioni virtuali di piazza. A Palazzo ipotesi di gabinetti di guerra, cabine di regia o commissioni di esperti sono già state affondate o ridotte a una foglia di fico.
È una situazione drammatica, come ogni «cigno nero» che si rispetti, inteso come un evento sconvolgente che non si poteva presagire. Tuttavia la vita pubblica è ancora fatta di regole fondamentali, a garanzia di chi governa, di chi fa l'opposizione e di viene amministrato. Eppure ci siamo ritrovati nel pieno di un'emergenza epocale con un governo di risulta che sopravvive grazie anche ai pieni poteri che il premier si è fatto concedere, magari con l'implicita promessa di ritardare il più possibile il ritorno al potere di un centrodestra che da tempo ha i numeri e i leader per farlo.
Conte, Zingaretti e Di Maio stanno esercitando quei «pieni poteri» che Salvini aveva evocato goffamente la scorsa estate, prima di rettificare la frase e uscire in malo modo dal governo gialloverde. Il leader leghista finì per essere ribattezzato «Mr. Pieni Poteri» mentre il leader Pd lo citava nei comizi come «l'ubriacone del Papeete».
Ecco il vero doppio gioco dei dem: imbarcarsi in un governo «democratico»
che tenga lontano suggestione dei «pieni poteri», per poi attuarli alla prima occasione utile. E se andrà male ,anche stavolta se la caveranno con poco: faranno cadere la testa di un premier-percaso che se l'era montata.
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