Ore 9.37, Genova incredula Il ponte Morandi non c'è più

Una tonnellata di esplosivo e sei secondi per cancellare il viadotto. Entro un anno quello nuovo. Già in ritardo

Ore 9.37, Genova incredula Il ponte Morandi non c'è più

Quando muore qualcuno che ha assassinato 43 persone bisognerebbe gioire. Ma i genovesi non riescono a esultare per la scomparsa dal loro orizzonte visivo di quel gigantesco mozzicone di acciaio e cemento che ha finito di togliersi di mezzo in sei secondi alle 9,37 di un venerdì di giugno, trecentodiciotto giorni dopo che un suo pezzo era crollato un martedì di agosto uccidendo 43 esseri umani.

Allora pioveva e Genova era distratta. Ieri sotto un sole che squaglia i pensieri Genova guardava solo là, a quella cesura sul Polcevera, a quel pezzo di niente poi diventato niente del tutto.

È un giorno bello e brutto per Genova, perché da un lato incomincia un futuro su cui è umano essere ottimisti ma anche giusto essere diffidenti; e dall'altro finisce un passato iniziato nel 1967, quando il ponte Morandi venne inaugurato e prese a ingombrare la visuale di decine di migliaia di genovesi, coi suoi stralli volitivi, con il suo stile razionale che lo faceva assomigliare a un ponte verso il futuro. Per questo ieri i genovesi hanno pianto, perché a quel pezzo sospeso di città volevano bene, anche se si è mangiato 43 vite in un solo boccone.

La giornata di ieri è stata lungamente preparata e chi se ne intende dice sia stata un successo. Il ponte è venuto giù con una tonnellata di esplosivo governata dall'eroe di giornata Danilo Coppe, mister Dinamite, che ha sbriciolato le pile 10 e 11 mentre dodici cannoni sparavano acqua per ridurre l'enorme nuvola di polvere. Ad assistere allo spettacolo centinaia di genovesi e pochissimi turisti dell'orrore. E poi, certo, i politici: l'onnipresente ministro dell'Interno e vicepremier Matteo Salvini, il suo pari grado Luigi Di Maio, venuti a farsi riprendere dalle telecamere (i pentastellati protesteranno perché le telecamere avrebbero trascurato e addirittura oscurato Giggino) e a tenere compagnia ai maggiorenti locali, al sindaco e commissario per la ricostruzione del viadotto sul Polcevera Marco Bucci, al governatore ligure Giovanni Toti che parla di «giornata storica».

Tremilaquattrocento sono stati i genovesi evacuati dalle case attorno al viadotto. Molti se n'erano andati lontano per non guardare, solo in trecento - molti meno del previsto - hanno utilizzato le strutture di accoglienza che il Comune e la protezione civile avevano predisposto. Gli «esuli» del Polcevera hanno fatto ritorno alle proprie case ieri sera, dopo che l'ultimo dei diversi monitoraggi sulla qualità dell'aria predisposti dall'Arpal ha tranquillizzato tutti, garantendo che fosse respirabile senza danni per la salute. In quattrocento tra uomini e donne delle forze dell'ordine hanno fatto in modo che tutto andasse bene, vigilando sui ventidue varchi di accesso alla zona proibita. Ma non era giorno per ribellioni, solo per guardare all'insù.

Gli unici contrattempi di una giornata così maledettamente cinematografica e fotogenica sono stati la segnalazione di un anziano che sarebbe rimasto dentro casa in quello che la narrazione generale ha per qualche minuto voluto leggere come una forma poetica di rivolta prima che i vigili del fuoco sfondassero la porta scoprendo che lì dentro non c'era nessuno. E due stranieri - nigeriani - scovati in casa a guardare la tv, ignari dell'evacuazione e di tutto il resto, che forse pensavano a una fiction, ma quando hanno capito se ne sono andati buoni buoni.

Chiuso anche un pezzo di autostrada e un po' di ingorghi in giro. Poca roba, davvero, per un giorno che ha cambiato Genova.

Quello che cambierà davvero Genova sarà il nuovo ponte disegnato dal genovese Renzo Piano, che si sta costruendo negli stabilimenti Fincantieri di Sestri Ponente.

Sarà al suo posto per la primavera 2020, garantiscono dal governo gialloverde. Lo stesso governo che però all'indomani della tragedia di Ferragosto giurava: «Lo ricostruiremo entro il 2019». Accidenti, siamo in ritardo prima ancora di incominciare.

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