«Storico»: è l'aggettivo preferito quando si parla dell'accordo fra Israele e Libano, Paesi in guerra, sul confine marittimo e i giacimenti di gas. Israele ama la pace, da Begin a Rabin chi ne ha forgiato una ne ha fatto il brillante della sua vicenda storico-politica. Così vorrebbe fare Yar Lapid, il primo ministro d'Israele. Ma questo è un accordo su cui già le opinioni sono diversissime.
L'ex ambasciatore americano in Israele padre degli accordi di Abramo, David Friedman, ha twittato incredulo: «Abbiamo speso anni cercando di mettere d'accordo il Libano e Israele sulle disputati giacimenti marini. Ci siamo andati vicini col 55-60% per il Libano, e il 45-50 per Israele. Nessuno immaginava il 100% al Libano e niente a Israele. Vorrei capire come ci siamo arrivati». Nessuno sa i particolari dell'accordo. Lapid a pochi giorni dalle elezioni che saranno il 1° novembre, afferma che «abbiamo realizzato una conquista storica che rafforza la sicurezza, porterà miliardi all'economia e darà stabilità al confine settentrionale». Al momento, difficile valutare se sia vero. Il governo, fragile e a fine incarico ha intenzione di portare a conclusione veloce l'accordo, che sembrava saltato giovedì, così da andare con questa medaglia alle urne anche se la legge per uno spostamento di confini richiede, dice l'opposizione, una serie di sanzioni definitive fra cui il voto del Parlamento. Bibi Netanyahu lo pretende bollando la decisione come «una resa agli Hezbollah».
Dopo il gabinetto della sicurezza, seguito oggi da una riunione di governo, il Parlamento discuterà. Ma voterà? Sembra di no. Poi l'avvocato dello Stato dovrà decidere della sua costituzionalità in due settimane e si arriverà a ridosso di elezioni che non si sa se porteranno a un governo contrapposto all'accordo. Perché contro un accordo che secondo Lapid porta in prospettiva speranze al Libano di ripresa economica e a Israele di stabilità sul confine? Perché in Libano sono oggi gli Hezbollah, «proxy» dell'Iran i padroni di casa che sanno solo odiare e mentire quando si tratta di Israele e Netanyahu ha detto che si tratta una resa alle minacce e che ogni espressione politica libanese ne è una pallida ombra.
Ci sono due campi marini di gas in discussione, uno Karish, di proprietà di Israele, pronto all'estrazione del gas, e l'adiacente Kana, che confina con le acque del Libano: ancora intonso, con un potenziale mai esplorato e su cui il Libano punta. La trattativa è su Kana, non su Karish: ma nel frattempo gli Hezbollah hanno minacciato Karish a parole con droni, sempre di più, per anni, impedendo l'inizio delle estrazioni.
Gli Stati Uniti sono stati i mediatori, guidati dall'inviato per l'energia Amos Hocstein. Un impegno cocciuto anche quando si era spaccato tutto, ma all'ultimo, magia, Hezbollah si è dichiarato soddisfatto delle concessioni israeliane sulle acque territoriali e la riduzione della quota israeliana dei profitti di Kana. Il Libano ha chiesto che il gigante petrolifero francese Total compri la porzione israliana, ma Lapid non ha accettato, e si vedrà cos'ha ottenuto. Il diavolo è nei dettagli e sembra che Israele si impegni a far passare cargo di tutti i colori.
Anche iraniani? E le acque territoriali diminuiranno? Il Libano fino a ieri voleva anche togliere la linea di galleggianti che blocca natanti che cercano di sbarcare sulla costa. E di terroristi provenienti dal mare se ne sono visti tanti. Ma la pace è una bella speranza, sempre.
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