Prima di inziare i colloqui di martedì, Erdogan ha organizzato la cerimonia in modo che le delegazioni russa e ucraina lo omaggiassero con sfarzo pubblico: l'ospite prescelto fra i tanti mediatori che si offrono per risolvere il conflitto russo-ucraino, già una vittoria in sè. Un omaggio all'uomo che vuole disegnarsi adesso come possibile mallevadore di pace, e che tuttavia, per il mondo è davvero difficile cessare di identificare come il novello Sultano di un Impero Ottomano rivisitato. Tuttavia Erdogan mette molto impegno sul tavolo della difficile trattativa, ed è solo l'ultima di una serie di mosse: il presidente turco tenta il tutto per tutto, adesso, per indossare una veste da agnello, per conquistare un profilo internazionale diverso da quello consueto.
Le caratteristiche politiche che ne possano fare una figura capace di ospitare le delegazioni nemiche alla ricerca della quadra pacifista, sono un puzzle esoterico che lo rendono praticabile nonostante il suo ruggito si oda molto chiaramente sullo sfondo. La Turchia è una potenza della zona interessata, il Mar Nero, quindi ha le carte per parlare specie della questione umanitaria avendo gestito da anni la questione dei profughi siriani, su cui ha anche ricavato notevolissimi interessi. Vende i droni all'Ucraina (cosa di cui Putin ha protestato) e non fa passare le sue navi da guerra, e approfitta del fatto che Putin sulla questione siriana comunque non vuole scontrasi con lui, cointeressato a Assad. E d'altra parte Erdogan può vantarsi di non aver accettato di sanzionare la Russia né chiuso i cieli con Europa e Nato, eppure è un membro della Nato, e non solo, ma è anche l'unico ponte fra la Nato e il mondo musulmano. In tempi in cui la globalizzazione impone che l'Oriente e l'Occidente collaborino oltre i vecchi schemil, Erdogan gode di un lasciapassare speciale. I russi non eccepiscono: una quantità di magnifici yacht di amici di Putin sono all'ancora a Budrun e in altri bei porti turchi e gli americani sembrano soddisfatti del ruolo turco, non hanno mai chiesto di unirsi alle sanzioni.
Ma è ragionevole pensare che fra le enormi difficoltà che si frappongono al raggiungimento della pace, c'è anche la personalità di Erdogan. La sua figura internazionale è quella di un dittatore che reimpone l'Islam al suo Paese in modo sempre più aggressivo e se ne fa colonna nel mondo. La sua esagerazione aggressiva verso l'Occidente, il ruolo giocato a carte scoperte nella pulizia etnica dei curdi e degli Yazidi,l'uso impari del «Sirian National Army», la sua foga contro gli Accordi di Abramo e alcuni paesi sunniti, la presenza militare ormai diffusa, l'odio antisemita per Israele, il sostegno dichiarato a Hamas, ospitato a Istanbul, sono entrati negli anni in contrasto con la sua ambizione ad apparire come uno statista a cavallo fra mondo musulmano e cristiano.
Erdogan, mentre aumentava in modo esponenziale il numero di giornalisti e dissidenti imprigionati, ha subito un crescente logoramento personale e il declino di un'economia sofferente. Ma la trattativa di questi giorni non gode di una facilitazione morale da parte della personalità del mallevadore: la passione per la libertà liberaldemocratica che Zelewsky rappresenta è lontanissima dal suo universo.
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