Quel pasticcio italiano del pm a due teste

La riforma incompiuta del processo, nel saggio con prefazione di Nordio

Quel pasticcio italiano del pm a due teste

È un pasticcio tutto italiano. Nel 1989 abbiamo finalmente introdotto il modello accusatorio e mandato in pensione, con l'arrivo del nuovo codice di procedura penale, il vecchio processo inquisitorio. Ma come spesso capita nel nostro Paese, la rivoluzione si è fermata a metà: la Costituzione è ancora quella di prima. «La disciplina dell'ordine giudiziario - nota l'avvocato Giuseppe Benedetto, presidente della Fondazione Luigi Einaudi - è ispirata a uno dei corollari del sistema inquisitorio: la prossimità fra giudice e pubblico ministero». Basta scorrere gli articoli che la nostra Carta dedica a questi temi, dunque il 104 e seguenti, per capire che c'è una «carriera unica», legata ad un passato, quello in cui pm e giudice istruttore andavano a braccetto, che è stato abolito.

E invece no: pm e avvocato della difesa dovrebbero duellare alla pari nell'aula in cui si forma la prova, ma il pubblico ministero continua ad essere considerato la «parte imparziale», con un paradosso vertiginoso e inquietante, e d'altra parte promozioni e punizioni vengono stabilite al Csm, dove giudici e rappresentanti dell'accusa abitano sotto lo stesso tetto.

Insomma, il legislatore ha cancellato il giudice istruttore, ha spostato il baricentro dalla parte dell'indagine a quella dibattimentale, ma ha lasciato una vasta zona d'ombra perché non ha avuto il coraggio di toccare quegli equilibri e così la costruzione è un'anomalia. È arrivato il momento di completare la lunga marcia iniziata trentaquattro anni fa, introducendo nella seconda parte della Costituzione la separazione delle carriere: il pm che abbiamo attualmente in Italia - precisa Benedetto - «è il vero super poliziotto che ha sotto la sua direzione la polizia giudiziaria, di fatto esercita una discrezione senza discrezionalità per l'enorme mole di fascicoli a lui assegnati, incide, attraverso l'elezione al Csm dei suoi colleghi di corrente, sulle nomine degli organi giudicanti». E in conclusione, «è probabilmente l'accusatore più potente del mondo, in quanto esercita il proprio potere in modo invadente rispetto alla giurisdizione e non deve darne conto a nessuno».

È una sorta di agile requisitoria ragionata quella che Benedetto sviluppa nel suo suggestivo saggio «Non diamoci del tu», Rubbettino, che verrà presentato stasera alle 18 all'hotel Posta di Reggio Emilia, alla presenza del sottosegretario Andrea Ostellari, dell'ex deputata Benedetta Fiorini, dell'avvocato Giuseppina Rubinetti e del professor Giulio Garuti.

Tutti i tentativi finora compiuti di modificare la situazione si sono infranti contro le obiezioni della magistratura associata e di parte della politica che alzano geremiadi senza fine: il pm perderebbe appunto la cultura della giurisdizione e finirebbe dritto dritto sotto l'esecutivo, smarrendo di fatto la propria indipendenza.

Ma non è così; oggi è semmai il giudice, in particolare il gip, ad essere appiattito sull'accusa e il pericolo di consegnare di fatto l'azione penale agli interessi dei partiti può essere superato senza dispute ideologiche; basta prevedere la creazione di due Csm senza alcun collegamento fra di loro: quello vecchio più un altro, tutto per i pm.

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