Claudio Bertolotti, docente e ricercatore associato Ispi, esperto di terrorismo e direttore di InSight, società di ricerca e analisi strategica. Quali rischi corre la Siria?
«Il timore è che, con lo scioglimento del Parlamento, si passi a un governo shaaritico e, come strumento di governo, a una shura, un supremo consiglio dei gruppi musulmani maggiormente rappresentativi, ma solo di quelli. Il rischio è che un'eventuale apertura alle altre minoranze non porti a una condivisione del potere. Nella migliore ipotesi, le minoranze sarebbero subordinate o escluse».
Al Jolani dice di volere una Siria che dia spazio a ogni etnia o religione. Sarà così?
«È improbabile perché la sua figura e l'ambiente in cui è cresciuto e si è consolidato è l'ambiente jihadista radicale, prima di Al Qaida e poi dello Stato islamico di Siria e Iraq, come delfino di Al Baghdadi, con il quale è entrato in contrasto volendo rimanere fedele ad Al Qaida. Lui è tutto fuorché un moderato, ma ha capito che l'Occidente è disposto a dialogare con chi si definisce moderato e pragmatico e sposi la narrazione occidentale. Il movimento di Al Jolani, che è qaidista, ha sposato l'ideologia della Fratellanza Musulmana, e vede nella violenza l'unico strumento per la presa del potere e il suo mantenimento».
Perché Al Jolani lancia questi messaggi? Qual è l'obiettivo?
«Ha interesse a essere riconosciuto dalla comunità internazionale e dall'Occidente. Vuole che gli si dia legittimità in modo che gli si concedano scambi diplomatici e commerciali».
Germania, Austria e Grecia hanno bloccato le richieste di asilo dalla Siria. Si teme un'avanzata del terrorismo?
«C'è innanzitutto un tema di sicurezza più generale. L'aumento dei flussi migratori come nel 2016 ha portato a un incremento dell'insicurezza complessiva e della sua percezione nella popolazione europea. In Germania, molti attentati sono stati portati a compimento da terroristi siriani. Anche se il numero di ingressi è basso, il timore è alto. Sempre più siriani tenteranno di raggiungere l'Europa. Non dalla Turchia, dove Erdogan ha annunciato che quelli già sul suo territorio verranno deportati in Siria. È statisticamente rilevato che a ogni successo della jihad, aumentano gli attentati in Europa: emulativi, spesso individuali, magari disorganizzati ma che incidono sulle statistiche».
Assad ha ottenuto asilo politico a Mosca. La sua caduta è un fiasco per la Russia o un rischio calcolato per Putin?
«Un po' entrambe. Mosca era incapace di gestire una guerra a media intensità in Siria, a fronte dell'oneroso impegno in Ucraina. Ha dovuto fare una scelta, cessando l'intervento diretto contro Hts e lasciando intuire un accordo sulla base navale russa di Tartus, sotto forma di concessione non scritta. L'interesse è mantenere la basi russe in Siria. Se Mosca non tiene Tartus, perde il 60% di capacità di operare nel Mediterraneo».
Hamas si è congratulato con i siriani e ha consegnato una lista di ostaggi da liberare. Che conseguenze a Gaza?
«Al Jolani vuol dire del Golan, un riferimento al territorio siriano occupato da Israele, che in queste ore ha aumentato la presenza delle sue truppe. Quel nome dice molto sulle sue ambizioni. La Siria si avvia verso un processo di balcanizzazione e guerra civile, che potrebbe riaccendere la violenza regionale.
I jihadisti potrebbero spingersi verso Israele e Libano in supporto alla lotta di Hamas nella Striscia, dove il bacino di reclutamento dei nuovi jihadisti è ampio e fertile, con i figli dei combattenti uccisi che riempiranno le fila dei gruppi anti-Israele. La lista conferma il legame di Al Jolani con i gruppi jihadisti e prova che non ha tagliato le radici con Al Qaida».
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