C'è chi si sente già in pre-guerra, come la Polonia del premier Tusk che annuncia il ripristino di una zona cuscinetto al confine con la Bielorussia su una fascia larga circa 200 metri, promettendo il ricorso a «tutte le risorse necessarie» per difendere la mappa attuale da potenziali invasioni, e chi dentro l'Ue fischietta come l'Ungheria, facendo affari con quelli che Bruxelles considera i nemici Nº1 della pace, della libertà e dell'integrità territoriale.
C'era da aspettarselo, ma si è fatto finta di nulla. Perché già lo scorso dicembre, da Budapest, arrivò un messaggio chiaro, rivolto a Bruxelles: la traiettoria dell'Ungheria di Orbán è quella di far «di tutto per ridurre le incertezze derivanti dal conflitto in Ucraina». Così parlava Péter János Horváth, l'ad dell'operatore MVM Paksy Atomeröm Zrt, la società che gestisce la centrale nucleare ungherese di Paks, sussidiata da Mosca. In conformità con i regolamenti Euratom (la Comunità europea dell'energia atomica), l'ad annunciò di voler estendere la licenza operativa dei reattori di altri vent'anni. L'Ue Lasciò fare con un certo snobismo. Ma oggi quelle dichiarazioni prendono forma e disegnano un quadro tutt'altro che roseo.
Il governo ungherese ha infatti firmato a Minsk un accordo nucleare di «grande importanza», ha spiegato ieri il ministro degli Esteri, Peter Szijjarto, per il trasferimento di «tecnologia e conoscenze dalla Bielorussia» e la costruzione del secondo impianto nucleare ungherese, Paks 2, da parte dell'azienda russa Rosatom (progetto a cui anche la Francia potrebbe partecipare). D'altronde Budapest ha sempre detto che l'Ue non sanzionerà l'industria nucleare di Mosca perché gli attuali reattori nel cuore dell'Ungheria producono la metà dell'elettricità necessaria ai magiari. E che Orbán bloccherà qualsiasi sanzione che impedisca di collaborare sul piano energetico. L'Ue faceva spallucce, ora si ritrova il nemico in casa.
Ieri si è però andati oltre, con un assaggio di come potrebbe muoversi Budapest quando assumerà la presidenza semestrale del Consiglio dell'Ue, che orienta l'agenda dei 27 e che, sulla carta, deve agire «come mediatore leale e neutrale» tra i membri. Il ministro degli Esteri ungherese, da Minsk, ha infatti decretato che le politiche sanzionatorie dell'Ue nei confronti della Russia «hanno fallito». «L'economia europea ha perso molto, se dipendesse da noi saremmo contenti se non ve ne fossero altre». È un nuova crepa dentro un'Unione fragile e dalle posizioni eterogenee (vedi l'impasse sul ricorso agli extraprofitti dei beni russi congelati).
La sensazione è d'avere in seno un membro che ha più a cuore il nuovo asse del male guidato da Russia e Cina (che mira a indebolire l'occidente), che non i meccanismi di Bruxelles, dove molti, annusando l'aria, puntano intanto ad accelerare i negoziati di adesione per l'Ucraina e la Moldavia entro fine giugno. È infatti lecito aspettarsi che dal 1° luglio, quando l'agenda dell'Ue sarà orchestrata da Orbán (e forse un po' anche da Mosca e Pechino, per non parlare del potenziale arrivo di Trump alla Casa Bianca), le manovre punitive nei confronti della Russia e di Minsk andranno al rallentatore. Tutto mentre il presidente bielorusso Lukashenko ieri ha dato via libera alla sospensione del Trattato sule forze armate convenzionali in Europa, riaccendendo tensioni mai sopite al confine con la Polonia: i bielorussi hanno iniziato settimane fa esercitazioni militari a pochi metri dalla linea.
Ieri via i limiti su carri armati, corazzati da combattimento, artiglieria, elicotteri d'attacco e aerei caccia.Armi ed equipaggiamenti che Tusk considera una minaccia reale. Mentre l'Ue è alle prese con un inconcludente balletto attorno all'idea di uno scudo aereo, il suo limes appare più che mai vulnerabile.
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