A Pompei mangiavano pizza (ed era un piatto da signori)

Rinvenuto un affresco che ritrae una specie di focaccia su un vassoio d'argento. Sorbillo: "Sogno a occhi aperti"

A Pompei mangiavano pizza (ed era un piatto da signori)
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Premiata pizzeria Pompei. Alla faccia di Cracco e pure di Briatore, anche gli abitanti della città seppellita dall'eruzione del Vesuvio nel 79 dopo Cristo mangiavano qualcosa che assomiglia molto alla pizza come la conosciamo oggi. Nulla di paragonabile alla Margherita, pomodoro e mozzarella erano di là da venire, ma probabilmente quella raffigurata in un vivido affresco scoperto nella grande necropoli va accolta con la tolleranza con cui accettiamo di definire pizza anche quella hawaiiana con ananas e una cosa che solo con grande generosità possiamo definire mozzarella.

L'affresco, così significativo per la storia della più significativa espressione del made in Naples a tavola, è emerso nel corso degli scavi nell'insula 10 della Regio IX, che interessa un'area di circa 3.200metri quadri, e più precisamente nell'atrio di una casa annessa a un panificio, già oggetto di scavi tra il 1888 ed il 1891 e liberata dai resti ottocenteschi, dove nelle settimane passate erano già stati rinvenuti gli scheletri di tre vittime.

L'affresco è magnificamente conservato, con colori vivi e tratti perfettamente riconoscibili. Si tratta di una xenia, un'immagine rituale che si ispirava ai doni ospitali che si secondo la tradizione ellenistica (tra il III e il I secolo avanti Cristo) si offrivano agli ospiti. Solo a Pompei ed Ercolano si contano centinaia di queste rappresentazioni, che spesso alludono anche alla sfera sacra. Si vede, accanto a un calice di vino, una focaccia di forma piatta appoggiata su un grande piatto tondo d'argento che funge da supporto per frutti vari: si riconoscono un melograno, forse un dattero, delle spezie, probabilmente una specie di pesto (che i romani chiamavano moretum) realizzato con puntini giallastri. Accanto alla pizza, sempre sul vassoio, frutta secca e una ghirlanda di corbezzoli gialli, accanto ad altri datteri e a melograni.

Insomma più che di una vera e propria pizza possiamo parlare di una focaccia, utilizzata come supporto e accompagnamento di altri ingredienti. In questo caso si tratta di un «topping» piuttosto modesto, ciò che contrasta con l'estremo lusso del vassoio d'argento e fa pensare che ai tempi la pizza fosse un cibo piuttosto esclusivo. «Oltre all'identificazione precisa dei cibi rappresentati - spiega il direttore del Parco Archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel - ritroviamo in questo affresco alcuni temi della tradizione ellenistica, elaborata poi da autori di epoca romana-imperiale come Virgilio, Marziale e Filostrato. Penso al contrasto tra un pasto frugale e semplice, che rimanda a una sfera tra il bucolico e il sacro, da un lato, e il lusso dei vassoi d'argento e la raffinatezza delle rappresentazioni artistiche e letterarie dall'altro. Come non pensare, a tal proposito, alla pizza, anch'essa nata come un piatto povero nell'Italia meridionale, che ormai ha conquistato il mondo e viene servito anche in ristoranti stellati».

Entusiasti del lavoro dei colleghi dell'antichità i pizzaiuoli contemporanea della vicina Napoli, pur nelle inevitabili differenze. Ecco Gino Sorbillo della storica pizzeria ai Tribunali (ma con sedi anche a Milano e Roma): «Mi emoziona tantissimo vedere quel dipinto, è un sogno ad occhi aperti. Ha una forma circolare, mi viene d'istinto chiamare quel piatto pizza. Di sicuro è un'arcaica forma che dimostra quanto questo composto affondi le radici dalle nostre parti, per diventare nei secoli successivi la pizza napoletana che noi conosciamo».

Precisa invece Enzo Coccia, della pizzeria La Notizia: «È improprio chiamarla pizza, è piuttosto una focaccia, che in latino significa cotta al fuoco o sotto cenere. Duemila anni fa avevamo la picea, la pitta e la focacius, qualcosa di rotondo, cotto in un forno a legna, ma non possiamo chiamarla pizza».

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