Masum ha 21 anni e poteva fare la fine di Saman. Poi, il coraggio di denunciare le ha concesso un destino diverso. «Potevo esserci io al suo posto». Masum è viva ma i compromessi ci sono stati: in fuga dai suoi genitori da oltre dieci anni, accolta e amata da una famiglia affidataria. Una scommessa finita bene. «Mio padre e i miei fratelli mi picchiavano per niente. Mio fratello picchiava mia mamma di continuo. Bastava che qualcosa non andasse per il verso giusto, e partivano le mani. Nella mia famiglia si sopravviveva con la paura addosso ogni giorno. Poi ho preso coraggio, mi sono fatta forza e ho chiamato i carabinieri. Ci avevo provato già quattro volte ma non ci riuscivo. È stata dura». Li ha denunciati quando aveva solo 11 anni, eppure la senti parlare e non riesci a immaginartela bambina perchè è come se fosse sempre stata grande e il suo racconto è lucido anche quando parla del peggio. La fortuna per lei è stata anche di incontrare le persone giuste, l'assistente sociale capace, il presidente del Tribunale dei minori, gli avvocati. Una rete insomma che ha funzionato e l'ha portata in salvo, lontana dai suoi parenti. Due anni in una comunità protetta poi una famiglia affidataria che le ha voluto bene. Sembra facile, dovrebbe funzionare sempre così eppure spesso non succede. Per una che ce la fa chissà quante rimangono schiacciate. E non in Bangladesh o in Pakistan ma qui, in Italia, tra l'indifferenza e il razzismo di un Occidente che le abbraccia e poi le abbandona. La storia si ripete uguale a se stessa sempre. C'è una famiglia che è un clan in cui i maschi possono tutto mentre le donne niente; al massimo sono complici dei mariti o dei figli maschi. Anche a casa di Masum lo schema funzionava allo stesso modo. Il padre era arrivato in Italia e con grande fatica ha messo in piedi due bazar. Quando decide di portarsi la famiglia, Masum, la più piccola di quattro fratelli, ha solo sei anni «In Bangladesh stavamo bene, mio padre era lontano e non c'erano litigi e non c'era violenza». Arrivati qui le cose cambiano presto e a peggiorare la situazione ci sono anche le difficoltà economiche.
«In casa non avevo nessun alleato, solo mia sorella ma poi, quando hanno scoperto che aveva un ragazzo italiano le hanno vietato di uscire, e l'hanno costretta a sposarsi con un nostro connazionale, un ragazzo del Bangladesh. Lei non voleva ma non ha avuto scelta. Opporsi non era neppure pensabile. Non l'ho più vista e lei ha smesso di cercarmi. Se fossi rimasta con loro sarebbe toccato anche a me». Sembra una vita fa. Oggi Masum è serena, «sto bene, sono amata e lavoro nell'azienda della mia mamma adottiva, ho una vita fatta di cose belle anche se non mi sento mai completamente al sicuro, e i miei parenti non sanno dove abito per motivi di sicurezza».
Il suo ultimo incontro con la famiglia risale al 2012 in comunità, «incontri protetti, non vedevo l'ora che finissero, mia mamma sapeva solo dirmi: perchè non chiedi mai di tuo fratello?». Non ci sono carezze o abbracci e i sentimenti sono schiacciati dai ruoli, regole a cui obbedire.
È difficile scegliere di raccontare la propria storia, lo è ancora di più se rischi di essere rintracciata dai tuoi che te l'hanno giurata. «Ma io parlo perchè le ragazze come me si ribellino a questo sistema. Non abbiate vergogna. La rivoluzione la dobbiamo fare noi. Trovate il coraggio di denunciare, non siete sole». E viene da crederle.
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