È accettabile che un organismo delicato come la Commissione Esteri del Senato italiano sia guidato da un fiero supporter di Putin e della sua guerra all'Ucraina, apertamente ostile alla linea del governo italiano, dell'Ue e della Nato?
La questione è aperta, e in Parlamento la spinta per liberare una postazione così delicata dal grillino filo-russo Vito Petrocelli, che ha legami affettuosi con Mosca (oltre che con Pechino) e pochi giorni fa ha votato contro la risoluzione di maggioranza sulla guerra in Ucraina, cresce di ora in ora. Il redde rationem è fissato per questo pomeriggio, alle 15, quando si riunirà l'ufficio di presidenza della Commissione di Palazzo Madama. Non sarà una riunione ordinaria: alla seduta parteciperanno i capigruppo di tutti i partiti ma anche pezzi da novanta della politica estera come Pierferdinando Casini, che ha guidato lo stesso organismo, e l'ex premier Mario Monti. E sul tavolo ci sarà la richiesta di dimissioni, ma anche un ipotesi di compromesso: Petrocelli, chiede il Pd con il capogruppo Alessandro Alfieri, prenda carta e penna disdica immediatamente il protocollo di intesa con la commissione Esteri della Duma putiniana, da lui sottoscritto durante uno dei suoi numerosi pellegrinaggi alla corte del Cremlino, per «dimostrare con chiarezza che sta con le democrazie occidentali e non con la dittatura russa». Un gesto simbolico, che anche M5s (che non vuol perdere la poltrona) lo spinge a fare. Non a caso il redivivo Giuseppe Conte, da un po' sparito dai radar politici, è rispuntato ieri per assicurare che «non succederà nulla» e che il prode Petrocelli resterà sereno al suo posto, anche se «è giusto, in un contesto del genere, riprendere in considerazione alcuni accordi di collaborazione oggi non più attuali».
Del resto, quegli accordi con Putin furono pienamente avallati dal suo governo, che si spendeva animatamente per l'annullamento di ogni sanzione alla Russia e per una vicinanza strategica tra l'Italia e le principali autocrazie di Mosca e Pechino, in barba all'Occidente, e che autorizzò colonne militari russe a scorrazzare per l'Italia in piena pandemia. Oggi Conte e M5s sono stati costretti alla retromarcia, ma M5s è spaccato tra filo-occidentali e filo-putinisti, e il leader cerca di tenere insieme capra e cavoli, evitando la gogna delle dimissioni a Petrocelli. Il quale, del resto, non vuole assolutamente perdere i galloni e gli extra (anche monetari) da presidente, e dunque sarebbe in procinto di accettare la condizione e cancellare il protocollo pur di restare al proprio posto. Ma «si tratta di una condizione necessaria ma non sufficiente», dice la capogruppo di Italia viva Laura Garavini. «Poniamo che, come probabile, Petrocelli dica di sì per salvare la poltrona: tra un paio di settimane, quando arriveranno al nostro esame di decreti sulla guerra in Ucraina, come voterà? Non possiamo mantenere in quel posto chiave un presidente che non è assolutamente di garanzia». I renziani, con altri gruppi, sono pronti a «boicottare il funzionamento della Commissione», non partecipando alle sedute. E propongono anche di rivolgersi alla presidente del Senato Casellati per chiederle di sciogliere la commissione, visto che non è possibile, per regolamento, sfiduciare un presidente di commissione.
Il Pd non scarta l'opzione e dice che «la disdetta del protocollo sarebbe un primo segnale che ha capito la gravità della situazione». Ma se oggi Petrocelli, come probabile, si piegherà per salvare la cadrega, l'imbarazzante scandalo del presidente filo-russo rischia di riproporsi presto.
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