Marco De Rossi a 14 anni era uno di quegli studenti che non alzano sempre la mano e fanno la corsa per mettersi al primo banco. Uno come tanti. Disegnini sul foglio, la testa che vola, e che barba... ma l'ora di latino non finisce più? Tra un mugugno e un lamento, sui banchi del liceo classico Manzoni di Milano è nato il suo primo progetto. Era il 2004, youtube non era ancora la youtube di oggi. Con 27 euro è partito Oil Projet, una piattaforma di video lezioni on line aperte a perfetti sconosciuti e massimi esperti per condividere le loro conoscenze, da Pascoli alle derivate. È stato l'inizio. Oggi Marco, a 30 anni, non è più uno come tanti. Il suo «Oil» è scivolato dentro l'ultima sfida lanciata nel 2016: quel WeSchool grazie al quale, con la didattica digitale, 180mila professori fanno lezione a 1,4 milioni di ragazzi. Dopo il colosso di Google c'è lui, Ceo di WeSchool, anche se si definisce «un programmatore». In mezzo c'è la Bocconi, un pezzo di Accademia di Belle Arti a Brera e un virus che ha fatto impennare le curve dei contatti. Ha arruolato una ventina di persone che nel primo di periodo di emergenza hanno risposto anche a 5 mila richieste al giorno. Confrontandosi con un sistema scuola rivoluzionato. De Rossi lo ha visto da vicino. «A volte i prof ci scrivevano di non potere iscriversi alla piattaforma perché non avevano la casella di posta - racconta - E lo facevano scrivendoci una mail». I suoi numeri fotografano nell'era pre Covid, il 20% dei prof già «sgamati digitali, mentre il 40% contrari all'uso della tecnologia e un altro 40% non la sapeva usare». Poi hanno cominciato a capitolare... «WeSchool permette ai docenti di portare la propria classe on line. Inviti i tuoi studenti e puoi organizzare la lezione in base a quanto sei smart. Dalla cosa più spiccia, sostituire le fotocopie con copie digitali alla classe capovolta: la teoria a casa, leggi, analizzi, guardi video di spiegazione. In classe poi fai quello che ha senso fare, domande, i dubbi, collegamento con altri argomenti. La pratica. L'esatto contrario della classica lezione con il prof che spiega e esercizi a casa». La vera didattica digitale interattiva «dove l'interazione è progettata dal docente». Un sistema che adesso è esploso ma che può continuare anche domani quando finalmente rientreremo in classe. «Non potremmo mai fare a meno della lezione frontale ma la cosa interessante è che è impossibile disimparare il digitale. Impossibile dimenticarlo. Torneremo in classe ma con l'abitudine per il docente di pensare un'altra scuola sia nel tempo che nello spazio. Perché non è la tecnologia che fa la differenza, ma il progetto applicato dal prof. È lui il regista, che può motivare, far capire dove stai andando e qual è la connessione con tua vita concreta». «Certo - continua - si può fare tutta la formazione che vogliamo ma se non paghiamo di più chi lavora meglio, saremmo costretti a rincorrere agli eroi». E i ragazzi come hanno reagito? All'inizio non benissimo... «Hanno iniziato a dare brutti voti sapendo che così facevano saltare la app. Una nuova versione di sabotaggio. Poi ci sono stati gli Zoom boombing entrando in classe non loro... che per fortuna si sono risolte in bravate.
I prof si sono spaventati e a noi hanno creato qualche problema». «Weschool è e resterà gratuita» perchè è convinto che la scuola che sogniamo non costa nulla. Grazie o per colpa anche sua adesso gli studenti non posso più cincischiare all'ultima fila.
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