Il principio di sussidiarietà. Ecco come garantire i diritti di tutte le Regioni

I rilievi della Corte Costituzionale nascono dall'esigenza di non lasciare nessuno indietro e servono a completare il percorso del federalismo

Il principio di sussidiarietà. Ecco come garantire i diritti di tutte le Regioni

Nel nostro Paese, le Regioni sono «un fatto geografico, etnografico, economico e storico che nessuno potrà mai negare», tant'è che l'Italia come nazione si è «formata non tanto sulle divisioni politiche di stati diversi, quanto sulla esistenza di un complesso uno e variato a carattere culturale».

Così si esprimeva Luigi Sturzo, all'indomani dell'entrata in vigore della costituzione, richiamando la necessità di non lasciar prevalere i timori su una presunta messa in pericolo dell'unità nazionale rispetto alla fiducia nell'esistenza di uno spirito unitario. Tale spirito, operando sul piano culturale e sociale, prima ancora che giuridico, avrebbe tenuto insieme l'autonomia delle regioni con la capacità di tutte le singole componenti della Repubblica di cooperare in funzione del raggiungimento degli obiettivi comuni: «l'amministrazione autonoma degli interessi propri» di ciascuna realtà regionale, «la cooperazione con lo stato per gli interessi comuni» e il «decentramento per gli interessi centrali sul posto».

Questa riflessione di Sturzo si inserisce nel dibattito sull'autonomia differenziata, promuovendo una prospettiva originale nell'ottica di una compiuta «Repubblica sussidiaria», in termini verticali e orizzontali. Se sul piano costituzionale non si può che prendere atto dei profili di illegittimità recentemente sollevati dalla Corte costituzionale e dell'interpretazione conforme a costituzione da essa indicata con riferimento ad alcuni punti controversi della legge Calderoli, sembra però più difficile condividere le critiche di coloro che sostengono che il modello del regionalismo differenziato sarebbe di per se stesso in contrasto con il disegno costituzionale e, dunque, con il principio di unità ed indivisibilità della Repubblica.

Il punto nevralgico dell'autonomia è, infatti, come affermato dalla Corte, che la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative tra i diversi livelli territoriali di governo non può che avvenire «in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra costituzione» in attuazione del «principio costituzionale di sussidiarietà».

Le questioni poggiano perciò su piani diversi che non andrebbero confusi. Pur senza negare il fatto che la differenziazione rappresenti un elemento di ulteriore complessità, peraltro iscritta nella composizione geografica, storica e culturale del nostro paese, e che tale complessità pone problemi sul piano della coerenza complessiva dell'assetto costituzionale unitario e della garanzia dei diritti fondamentali della persona su tutto il territorio nazionale, con ciò si intende sottolineare come tali rischi debbano essere governati, sul piano politico-culturale, scommettendo su quello spirito di unità a cui faceva riferimento Sturzo, che si alimenta tanto con il rispetto e con la valorizzazione delle differenze territoriali, quanto con il buongoverno e un'amministrazione realmente organizzata secondo logiche sussidiarie.

Se da un lato è dal buongoverno che dipende l'effettivo godimento dei diritti fondamentali della persona, dall'altro, la corretta attuazione del regionalismo asimmetrico, nel rispetto cioè della clausola di unità nazionale dell'art. 5 della costituzione, potrebbe davvero essere l'occasione per superare definitivamente la cosiddetta visione dei diritti sociali come diritti a prestazione finanziariamente condizionati che già oggi è alla base di inaccettabili squilibri territoriali e disuguaglianze.

È infatti l'organizzazione amministrativa, sia essa statale, regionale o locale, a doversi conformare continuamente all'obiettivo costituzionale del massimo godimento possibile dei diritti fondamentali della persona quale conseguenza del riconoscimento della sovranità di quest'ultima sul potere politico-amministrativo, e non la persona a doversi adattare a scelte di allocazione delle funzioni legislative e amministrative non pienamente coerenti con l'ordine giuridico della società o a un inefficiente assetto organizzativo del settore pubblico.

Si tratta di temi che, per la loro complessità e ampiezza, sono largamente assenti sia nel dibattito sull'autonomia differenziata sia nell'agenda politica della maggioranza e dell'opposizione. Eppure, unitamente alla definizione dei LEP e all'attuazione dell'art. 119 della costituzione, tanto la necessità di un'operazione culturale quanto il ripensamento delle modalità di finanziamento dei servizi pubblici, contribuirebbero a riportare il dibattito sull'autonomia differenziata sul terreno nevralgico della sussidiarietà, ponendo le basi per un processo di profonda trasformazione delle nostre dinamiche istituzionali la cui portata, in linea con l'evoluzione dell'ordinamento eurounitario, va ben oltre la pretesa di piantare bandierine politiche o il protagonismo di qualche Regione.

*Professore di Diritto amministrativo e pubblico, UniNettuno Università di Roma

**Professore di Storia del pensiero politico, Università degli Studi del Molise

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