"Putin farà di tutto per alzare lo scontro. Il suo primo obiettivo è che l'Ucraina diventi il nemico assoluto"

L'ex ministro Minniti: "Più attacchi aumentano il rischio di incidenti. Lo Zar aspetta la rielezione di Trump per un negoziato. Ma nessun accordo è possibile senza il consenso di Zelensky Per rassicurare Kiev, serve farla entrare nell'...

"Putin farà di tutto per alzare lo scontro. Il suo primo obiettivo è che l'Ucraina diventi il nemico assoluto"

Marco Minniti, anni 67, politico di lunghissimo corso. Ha iniziato con il Pci, ha seguito D'Alema, è stato ministro dell'Interno e sottosegretario alla presidenza del Consiglio, sempre con spirito critico e libero.

Partiamo dalla Russia. L'attacco dell'Isis in Russia è un campanello d'allarme per tutti? Il terrorismo islamico torna ad attaccare l'Europa.

«Sicuramente l'Isis ha scelto Mosca come scenario per la riaffermazione della sua presenza. Vuole tornare ad assumere un ruolo molto importante nella sfida che c'è anche tra le organizzazioni terroristiche. L'Isis era stato sconfitto militarmente e politicamente, però non era mai stato cancellato. Nel momento in cui si affacciano sulla scena internazionale Hamas, Hezbollah, gli Houthi sul Mar Rosso, l'Isis ha voluto segnare un punto che per le organizzazioni terroristiche è un messaggio importante: di forza, di capacità organizzativa».

Negli anni passati l'Italia è stato l'unico grande Paese occidentale non attaccato dal terrorismo. Merito della fortuna, del caso, o di una organizzazione della sicurezza?

«È evidente che non è lo stellone italiano. Non è neanche il caso. Noi abbiamo una capacità notevole dell'intelligence, delle forze di polizia e della magistratura. La sinergia tra questi tre pilastri è stata molto importante. Ora però non bisogna abbassare la guardia».

L'Isis è pronta ad attaccare l'Europa?

«In Russia aveva capacità militari notevolissime, che in Europa al momento non ha. Però può svilupparle».

C'è una via d'uscita dalla guerra in Russia?

«Bisogna capire innanzitutto una cosa: Putin utilizzerà l'Ucraina come uno schermo. Ha bisogno di un modo per difendersi dagli effetti dell'insuccesso. L'attacco dell'Isis ha mostrato falle gravissime nella sicurezza e per Putin è un colpo politico. Deve trovare un modo per reagire. Reagirà in Ucraina. C'è un tentativo strumentale di far diventare l'Ucraina il nemico assoluto, e quindi di rafforzare le ragioni per cui è iniziata la guerra. Putin farà di tutto per avere una escalation, che infatti è già in corso».

In che termini, l'escalation?

«Ci sarà un aumento della pressione militare. Intensificando gli attacchi aerei e missilistici».

E questo aumenta il rischio di incidenti...

«Non c'è alcun dubbio. Nei giorni scorsi un missile ipersonico ha attraversato per 36 lo spazio aereo polacco. Tecnicamente è un eternità. E ieri due Eurofighter dell'Areonautica italiana che fanno parte del sistema di sorveglianza aerea del confine Est della Nato hanno intercettato un velivolo russo in Mar Baltico».

Potrebbe esserci un allargamento del conflitto?

«L'idea di un attacco che possa andare oltre l'Ucraina non la vedo verosimile per una ragione non solo militare ma soprattutto politica. Putin guarda all'esito delle elezioni americane. E sa che se Trump dovesse vincere le elezioni, Trump aprirà subito un negoziato».

L'elezione di Trump vorrebbe dire pace?

«La pace in Ucraina non si può fare senza il consenso del popolo ucraino. Perché quello è il paese aggredito. Non puoi fare nessun accordo dando il senso che usi l'Ucraina come moneta di scambio».

Quindi?

«Bisogna fare in modo che il popolo ucraino, al quale dobbiamo essere molto grati per quello che ha fatto, si convinca che la pace è possibile. Bisogna creare le condizioni politiche perché la leadership ucraina si senta protetta sulla strada di una mediazione e un negoziato. Il negoziato non è la resa».

Allora qual è la strada?

«Per rassicurare l'Ucraina c'è un solo modo: farla entrare in Europa. Il messaggio sarebbe: non sarete mai più soli. Un popolo invaso non si fida di un accordo. E l'ingresso in Europa darebbe garanzie anche sul piano della ricostruzione. L'idea di fare parte di una grande comunità è una garanzia. Più delle garanzie di Trump contano le garanzie dell'Europa».

Torniamo in Italia. Sul caso Bari c'è stato uno scontro politico durissimo.

«Proprio per questa ragione c'è bisogno di trarre delle lezioni da quanto è avvenuto. La prima riguarda la decisione dell'invio della Commissione di accesso che deve apparire il meno possibile condizionata da scelte o da pressioni politiche. Come secondo punto ritengo giusto che un sindaco difenda il suo operato e l'immagine della sua città, ma non si può ignorare che l'invio di una commissione d'accesso non comporti automaticamente lo scioglimento del consiglio comunale. Terzo: anche con le motivazioni più nobili i rappresentanti delle istituzioni non vanno a casa dei mafiosi o dei loro parenti. Questo significa riconoscere un potere di controllo del territorio. È una condizione essenziale che mette in campo le parole sovranità e Stato. Non ci può essere nessun segnale che in qualche modo riconosca questa sovranità alle mafie. Questo le rende sicuramente molto più forti. Ultimo punto: non buttiamo l'acqua sporca con il bambino. Lo scioglimento dei consigli comunali costituisce un cardine fondamentale della lotta contro le mafie».

Cosa pensa della detenzione di Ilaria Salis in Ungheria? Il governo italiano si è mosso bene?

«Rivedere Ilaria Salis in tribunale con i ceppi, dopo il moto di indignazione che quella immagine aveva suscitato nei mesi scorsi, rappresenta una sfida aperta all'Italia e all'Europa.

Il problema prescinde dalla colpevolezza o meno della Salis. I luoghi di carcerazione rappresentano lo specchio della civiltà di un paese. Il fatto che le nostre carceri versino in condizioni difficili non deve impedirci di lottare per i principi di civiltà».

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