
Una proposta a Donald Trump, subito accolta dal destinatario, per far giocare delle partite di hockey su ghiaccio tra squadre di club russe e americane come segno di riavvicinamento tra i due Paesi rivali. Non è un caso se, in Occidente, gli ammiratori di Vladimir Putin appartengano per lo più alla categoria dei nostalgici tradizionalisti: quello che il dittatore russo ha rilanciato è infatti un balzo indietro nella Storia, una sorta di riedizione in piccolo dei Goodwill Games, i «Giochi della Buona Volontà» che quarant'anni fa, in uno dei passaggi più difficili della Guerra Fredda, furono organizzati dal fondatore della Cnn Ted Turner per riavvicinare gli sportivi americani e sovietici dopo due reciproci e consecutivi boicottaggi dei Giochi Olimpici.
Ma a parte questa mossa a effetto, utile magari anche per cercare di cavar fuori lo sport russo dal quasi completo isolamento internazionale in cui è stato cacciato dopo l'invasione dell'Ucraina, i toni usati ieri da Putin al di fuori di quelli disponibili usati nella telefonata con Trump hanno richiamato il passato per motivi opposti. Si è risentita, insomma, l'eco della contrapposizione ostile all'Occidente tipica degli anni duri pre Gorbaciov. Con tanto di sparate propagandistiche sugli immancabili destini di vittoria che attendono la patria russa.
Vladimir Putin è intervenuto al congresso degli industriali e degli imprenditori russi, ormai coinvolti in quella trasformazione dell'economia nazionale in un'economia di guerra permanente che pure tanto richiama la situazione sovietica precedente la «perestroika» gorbacioviana. Da questo palco, il presidente autocrate ha rilanciato gli slogan sull'inevitabile fine dell'egemonia occidentale nel mondo. «Lo scivolamento del predominio dell'Occidente e l'emergere di nuovi poli di crescita globale sono una tendenza a lungo termine» ha affermato Putin, che è poi passato a prendersela prima con le sanzioni imposte alla Russia dagli occidentali e quindi con «i Paesi stranieri» in blocco.
Non soltanto ha definito le sanzioni «strumento di pressione strategica sistemica sul nostro Paese», ma ha insistito sul fatto che esse non siano «misure temporanee o mirate». Per Putin è in corso una guerra vera tra l'Occidente (che a suo dire ne porta la responsabilità) e la Russia, e la lezione che se ne deve trarre è che «non importa come si sviluppa la situazione (il che, detto nello stesso giorno in cui ha parlato al telefono con Trump, è molto significativo, nda), non importa quale sia il sistema delle relazioni internazionali, i nostri concorrenti si sforzeranno sempre di frenare il nostro Paese, di indebolire le sue capacità economiche e tecnologiche». Insomma, il rilancio dell'eterna retorica della Russia fortezza assediata da un nemico malvagio.
Da qui la tirata xenofoba finale, riferita alle confische o congelamenti di beni russi in Occidente.
«Non ci si può fidare di loro ha detto Putin dei Paesi stranieri perché hanno portato via tutto, comportandosi da irrispettosi incivili. È perciò necessario creare in Russia un sistema politico e legale che garantisca stabilità e affidabilità». Alludeva al suo regime, certamente stabile ma per nulla affidabile.
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