
Non si vedevano dai tempi di Mani pulite. Rieccoli, a sorpresa, trent'anni dopo (insieme nella foto sotto). Antonio Di Pietro e Carlo Sama (nella foto a lato), l'inquisitore e l'inquisito. Il marito di Alessandra Ferruzzi presenta al Senato il suo libro, La caduta di un impero, su quel terribile 1993, l'ex pm sta seduto sui banchi e prende appunti come uno studente. «Dal 1993 mi porto dentro il peso del suicidio di Raul Gardini - spiega Di Pietro al Giornale - Avevo concordato con i suoi avvocati che alla fine dell'interrogatorio sarebbe tornato casa a con i suoi piedi. Invece, non si fidò e si sparò proprio quella mattina. Avrei dovuto anticipare l'arresto di 24 ore, ma ora, leggendo le pagine di Sama, ho capito meglio il dramma di Gardini e forse anche qualcosa in più del mistero insondabile della sua morte».
Sama descrive in effetti un personaggio fuori controllo, fra liti, eccessi, manie di grandezza. «Quel capitolo di storia fu l'acme di Mani pulite - prosegue Di Pietro - poi cominciò la discesa, anche perché alcuni obiettivi non furono raggiunti dall'indagine».
La memoria corre alla tangente Enimont, più o meno 150 miliardi. «Scoprimmo dove era finita solo metà di quella gigantesca somma, poco più di 70 miliardi - osserva l'ex magistrato - ma rimasero sconosciuti i nomi dei boiardi di Stato che sicuramente incassarono robusti oboli provenienti da quei fondi. Oggi, forse, l'Italia sarebbe diversa se si fosse riusciti ad andare fino in fondo. E poi ancora - annota Di Pietro, che sta progressivamente ricostruendo quella lunga stagione - c'è quel rivolo che attraverso Paolo Cirino Pomicino arriva in Sicilia e li sparisce». Forse, nelle tasche dei boss di Cosa nostra.
Ci sono almeno due passaggi nel testo di Sama che Di Pietro sottolinea: quello dei rapporti che il manager della Calcestruzzi Lorenzo Panzavolta aveva con Berlini, dal nome del funzionario Pino Berlini che gestiva i fondi esteri dei Ferruzzi, allora, prima del disastro finale innescato da Mani pulite, il secondo gruppo industriale italiano. «Potrei dire - ironizza Di Pietro - che questo libro contiene alcune dichiarazioni spontanee di Sama. Fossi ancora pm, forse aprirei un'inchiesta, o meglio l'avrei aperta allora se avessi saputo quel che ora leggo».
Sama svela un episodio assai cupo, legato alla Calcestruzzi e alla Sicilia: «Atterrato a Palermo, mi fermai a pranzare in un ristorante di Mondello in attesa che alcuni manager venissero a prendermi per portarmi fin sul posto. Quando arrivammo rimasi basito alla vista di un'intera collina letteralmente disintegrata. Non volli neanche andare a ispezionare alcune costruzioni che si stavano lì realizzando. Mi feci subito riportare all'aeroporto e quando tornai a Ravenna spiegai a Raul quale scempio stessero facendo».
C'è poi il capitolo relativo al sistema Berlini e anche su questo versante Di Pietro manifesta il suo stupore: «Sapevo che la liquidità estera del gruppo, messa in piedi da Serafino Ferruzzi, ammontava a circa 400 miliardi di lire. Una cifra altissima ma ora si scopre che invece il tesoro aveva una consistenza pari addirittura a 1200 miliardi. Cifre colossali di cui non avevo idea e che mettono in moto ulteriori quesiti e retroscena: che fine hanno fatto questi enormi capitali dopo la morte di Gardini?».
A quanto si sa, non rientrarono nella disponibilità della famiglia Ferruzzi, messa all'angolo dall'azione di Mani pulite e dalla tenaglia inesorabile di Mediobanca. In poche settimane i Ferruzzi furono espropriati e persero tutto. O quasi.
«Ci mancano alcuni passaggi - riprende l'ex magistrato - anche perché io non indagai sulla contabilità, in chiaro o in nero, del gruppo. Io cercavo le mazzette, quel lato era di competenza dell'autorità giudiziaria di Ravenna che alla fine assolse Sama da tutti i capi d'imputazione».
Il mistero sul patrimonio svanito resta. Come resta il grande punto di domanda sul miliardo portato a Botteghe Oscure da Gardini. «Quella maledetta mattina del 23 luglio 1993 - è la conclusione - Gardini avrebbe anche dovuto parlare di quel miliardo e di quella volta in cui l'autista l'aveva lasciato nei pressi di Botteghe Oscure. Gardini non fece in tempo a raccontarmi quella storia, ma nessuno ha mai smentito quel viaggio.
E anche il fatto di non aver completato quel filone di indagine su Botteghe Oscure è un cruccio. Io ci provai, ma Gardini si tolse la vita e pure il tesoriere del partito, Marcello Stefanini, morì a sua volta proprio nel 1994».
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