"Re Agnelli non è un mito nemmeno più a Torino"

L'amarezza dell'avvocato Gamna: "Un tempo il suo nome era sussurrato con rispetto, oggi è finito tutto"

"Re Agnelli non è un mito nemmeno più a Torino"

«C'era un'aura di sacralità attorno a loro. Ora hanno ucciso tutto». Emanuele Gamna è stato amico, ancor prima che avvocato, di Margherita Agnelli. Da sempre nella Real Casa torinese è uno di famiglia. Quell'ambiente lo conosce bene. Lo incontro nella sua dimora, sulla collina di Moncalieri, nota come Villa Silvio Pellico. In realtà è l'antica residenza dei marchesi Falletti di Barolo, di cui Silvio Pellico era un dipendente. Costruita nel Settecento, circondata da un parco di sette ettari, con piante ad alto fusto e alcuni platani donati da Napoleone, ha uno dei giardini all'italiana più belli del mondo. L'ha disegnato Russell Page, considerato il Mozart dei parchi.

E la dolcezza di questo paesaggio sembra far da contrappunto all'amarezza del cuore dell'avvocato Gamna: non si dà pace per le vicende che hanno travolto gli eredi sabaudi, e che hanno scottato anche lui. «Hanno distrutto etica ed estetica» dice. «C'era un tempo in cui il nome Agnelli, in questa città, non veniva nemmeno pronunciato: al massimo veniva sussurrato con il rispetto che si deve ai sovrani». Ora, invece, il nome lo si grida nelle piazze, sui giornali e nelle aule dei tribunali. «La cosa più grave è che il re non è più un mito nemmeno per i suoi». Ora tutti sanno dei soldi all'estero, dei tesoretti off shore, dei paradisi fiscali e del denaro occultato. E tra i familiari qualcuno si starà chiedendo: non è che nei suoi anni d'oro, oltre che l'erario, l'Avvocato ha fregato anche noi?

Sembrava impossibile distruggere il suo mito. Quando Gianni Agnelli è morto, il 24 gennaio 2003, è stato celebrato come un santo. «L'avvocato della gente» titolavano i giornali. «Da oggi siamo più soli». Parlavano di lui come dell'«uomo buono». «Ha dato da mangiare a tutti» attaccava l'editoriale della «Stampa» il 26 gennaio, mentre centomila persone s'inchinavano davanti al feretro, in quella fiumana di gente che sobriamente fu definita «un Gange di umanità». Sempre sobriamente si disse che Gianni Agnelli era «un moderno Lorenzo il Magnifico» ma «con la fisionomia di Giulio Cesare». «Pensavo fosse immortale» commentava Giorgio Armani, confondendo forse il capo della Fiat con Gesù Nazareno.

Del resto, non era difficile cadere nell'errore, dato il tono delle celebrazioni. Fiumi di articoli sulle virtù dell'Avvocato. E naturalmente sulla sua eleganza: il blazer blu con i mocassini, l'orologio sul polsino, la erre arrotata che lo faceva diventare «griffe di sé stesso».

Schiere di giornalisti pronti a giurare di essere stati svegliati all'alba da una delle sue mitiche telefonate, ovviamente sempre argute e intelligenti. Messaggi di addio adoranti, estasiati, esagerati. Come quello pubblicato il 26 gennaio 2003 dal «Corriere della Sera», senza nemmeno un filo d'imbarazzo: «Si diceva che sapesse miscelare champagne con un ottimo nebbiolo. Anche per questo ci mancherà». Eccome no. Come si fa a vivere senza l'Avvocato che miscela champagne e nebbiolo?

Del resto, erano anni che ci si allenava alla costruzione del mito. Uno dei principali artefici è stato il giornalista Enzo Biagi, autore, negli anni Ottanta, del già citato libro Dinastie, dove Gianni Agnelli veniva definito, sempre con molta sobrietà, «l'unico sovrano che regna su una città dopo i Medici, gli Sforza, i Gonzaga e i Savoia». Ovviamente, scriveva Biagi, «dà del tu ai padroni del pianeta», è amico dei Kennedy, «cena con Rockefeller e con Edmond de Rothschild», conduce «le sue aziende nella più conveniente direzione», ama l'arte, lo stile, il design, insegna l'eleganza, e soprattutto è «una figura romantica», come dimostra «il suo volto energico e bello, dalla pelle spessa, segnata in tutte le direzioni da rughe di cuoio, bucata dal blu dello sguardo». Insomma: bello, capace, potente, elegante, regnante, romantico, energico, fantastico e superfantastico. Pregi: tanti. Difetti: non pervenuti. Quindi, «per concludere: il numero 1». Ora, però, dal polverone giudiziario alzatosi dopo la sua morte, è emerso chiaramente che quel numero 1, più che miscelare nebbiolo e champagne, miscelava capitali all'estero e fondi off shore. Uno dei gestori dei suoi soldi in Svizzera, Siegfried Maron, ha presentato un elenco di società del Liechtenstein nelle quali sarebbero stati custoditi 600 milioni di euro. Ma i denari occultati fuori dai confini nazionali, a detta della figlia Margherita, potrebbero essere molti di più. «L'Espresso» (21 ottobre 2024) calcola almeno 2 miliardi di euro, concentrati soprattutto in due trust alle Bahamas (The Providenza e The Providenza II). Ma si parla di tesoretti nascosti anche alle Isole Vergini, a Hong Kong e a Singapore. La procura di Torino indaga. E anche la sbandierata passione dell'Avvocato per l'arte, da sempre indicata come inequivocabile segno di classe, di gusto e di savoir faire, forse celava qualcos'altro. Forse era semplicemente un sistema per investire denaro in modo, diciamo così, sicuro e poco visibile: il patrimonio di quadri lasciato dall'Avvocato, secondo quanto ricostruito dalla trasmissione Report del 15 ottobre 2023, è di 636 capolavori, per un valore di oltre un miliardo di euro. Opere di Monet, Picasso, Canova, Balla, Bacon, De Chirico, Paul Klee... Una tela del valore di 20 milioni di euro (La Chambre di Balthus) è stata ritrovata in uno scantinato. Di altre 39 opere si sono perse le tracce: fra queste un Modigliani, un Rodin, due Picasso, un Monet, un De Chirico e due Bacon. Per altro si è saputo che molti dei quadri, anche quelli in Italia, appartenevano a una società straniera ed erano «passaportati», quindi esportabili, senza problemi, in qualsiasi momento. Tutte scelte dettate solo dall'amore per l'arte? E dall'amore per lo stile? Solo savoir faire? Davvero?

Ed ecco, allora, che molte ombre hanno cominciato ad allungarsi su quell'«uomo buono» che «dava da mangiare

a tutti», salutato nel giorno del suo funerale da centomila persone in fila come se fosse un eroe nazionale, un mezzo santo, un quasi beato. E anche sulla sua vita personale si sono accesi riflettori un tempo impensabili.

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