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Reddito di cittadinanza, 800mila beneficiari non lavoreranno mai

Più di un terzo delle 1,3 milioni di famiglie avranno l'assegno senza nessun obbligo

Reddito di cittadinanza, 800mila beneficiari non lavoreranno mai

Non è un caso che la Lega si sia messa di traverso sul reddito di cittadinanza e che in Parlamento, in sede di conversione del decretone, stia dando (per la verità blandamente) battaglia sul nodo del rinnovo del sussidio caro al Movimento 5 stelle. Un rinnovo sine die dell'assegno da 780 euro non è da prendere in considerazione per il sottosegretario leghista all'Economia Massimo Garavaglia. Secondo i pentastellati deve invece essere preservata il più possibile l'universalità dell'assegno. I due partiti di governo, insomma, sono animati da motivazioni opposte: la Lega resta legata al Welfare to work, sussidi solo se legati al reinserimento nel mondo del lavoro; il M5s a un assistenzialismo vicino a quello della sinistra tradizionale.

Se la Lega vuole introdurre modifiche al decreto è perché il primo round è stato vinto dal movimento di Lugi Di Maio, visto che il sussidio sarà in gran parte slegato dall'obbligo di cercare un lavoro o di essere inserito in un percorso di reinserimento.

L'Ufficio parlamentare di bilancio giorni fa è tornato sul Rdc proprio per chiarire la composizione della platea interessata. Ci sono famiglie «escluse da qualsiasi obbligo previsto dai percorsi lavorativi e di inclusione e percepiscono il sussidio economico senza ulteriori vincoli». Ci sono le famiglie formate esclusivamente da componenti che si trovano in condizioni di non occupabilità (minorenni, studenti o in formazione, anziani, disabili o con carichi di cura). Ma sono escluse anche le famiglie che rientrano nei requisiti economici, con un componente già occupato. Poi ci sono i nuclei al cui interno almeno un componente deve lavorare. O meglio deve seguire uno dei due percorsi previsti dalla legge: passare per i Centri per l'impiego che gli proporranno delle offerte di lavoro, oppure essere preso in carico dai servizi sociali dei comuni.

L'Upb quantifica queste tre categorie. Su 1,3 milioni di famiglie, il 37 per cento non ha obblighi di nessun tipo. Sono 481 mila famiglie. Un altro 37 per cento andrebbe incluso nei percorsi di inclusione dei Comuni. Quindi non reinserite nel mondo del lavoro in tempi troppo brevi. Solo il 26%, quindi circa 338 mila famiglie, entrerà sicuramente nel programma di reinserimento nel mondo del lavoro. Un milione di famiglie, insomma, faranno un percorso che è sicuramente assistenziale, ma non è welfare finalizzato al lavoro.

Le cifre potrebbero cambiare. Ci sono delle ambiguità nel definire chi è disoccupato e chi no, osserva l'Upb. Secondo la definizione utilizzata per le statistiche ufficiali è occupato chi abbia lavorato nella settimana precedente alle rilevazioni almeno un'ora, in cambio di soldi o di servizi o di un pagamento in natura. Occupato anche chi lavora, anche saltuariamente e gratis, nella impresa di famiglia. Poi c'è la definizione utilizzata dal Jobs act, secondo il quale è occupato chi percepisce un reddito da lavoro superiore a 8.100 euro. Se non si definisce la platea, spiega l'Upb, si rischiano comportamenti elusivi.

In sostanza, se prevalesse la prima definizione, basta dichiarare di avere lavorato un'ora per poter rientrare tra chi è già occupato e aver

diritto al reddito di cittadinanza (o a un'integrazione), senza l'obbligo di cercare lavoro. Un'altra possibile fonte di abusi, come quelli che già emergono dal boom di cambi di residenza registrati in tante città italiane.

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