La pantomima del Pd sul caso Regeni è, si sa, una messa in scena. Dopo il sì in Consiglio dei ministri dell'11 giugno alla proposta del premier Giuseppe Conte di vendere all'Egitto due fregate Fremm per 1 miliardo e 200milioni di euro Nicola Zingaretti e compagni propongono ora di bloccare tutto. In verità cercano solo il perdono degli elettori e di una famiglia Regeni tradita dal partito in cui credeva. Gli atti di quel Consiglio dei ministri sono invece la miglior smentita di un Conte che promette «inflessibilità» con l'Egitto. Ma soffermiamoci sulla possibilità di ottenere «giustizia». Quella è l'unica cosa che il presidente Abdel Fattah al Sisi non può offrirci. Anche solo fornire i recapiti dei cinque ufficiali della National Security implicati, secondo la procura di Roma, nella morte di Giulio Regeni equivarrebbe per gli apparati di quel paese a un tradimento. E, a certe latitudini, tradire gli uomini da cui dipende la tua sicurezza, e quella della nazione, non è mai un'ottima idea. Dunque la richiesta di giustizia richiede delle contropartite.
Per capire quali partiamo dalle due verità del caso Regeni. La prima è semplice. Giulio è rimasto vittima della brutalità di un apparato convinto di avere tra le mani non un ricercatore, ma l'informatore d'una potenza straniera. Giulio non lo era. Il suo lavoro accademico si svolgeva però, all'ombra di due docenti che - come Giulio aveva capito - non erano altrettanto imparziali. La professoressa Maha Abdel Rahman che supervisionava il suo lavoro da Cambridge è legata ad una Fratellanza Musulmana nemica giurata del presidente al Sisi. Lo stesso dicasi della professoressa Rabab El Mahdi, la docente dell'Università Americana del Cairo scelta come «tutor» di Regeni dalla Rahman. Proprio i rapporti con due docenti interessate a ricerche non soltanto accademiche sono costate la vita ad un ignaro Giulio Regeni.
Ed infatti nelle settimane successive al ritrovamento del suo cadavere sia fonti della nostra intelligence, sia fonti di Palazzo Chigi esprimevano, in colloqui riservati con Il Giornale, serie perplessità sul ruolo inglese. Perplessità trapelate anche dopo gli interrogatori a Cambridge, nel 2018, della professoressa Rahman da parte del Pm Sergio Colaiocco. Quelle perplessità celano una verità ancora nascosta. Una verità inseguita, probabilmente, anche dagli inquirenti egiziani che infierirono sul nostro connazionale. E ai sospetti d'allora s'aggiungono, oggi, alcune recenti rivelazioni sul «modus operandi» dell'intelligence inglese. Il sito «Middle East Eye» ha svelato che i cosiddetti «citizen journalists», tanto in voga dopo le Primavere arabe, vennero usati in Siria dagli 007 di Sua Maestà per divulgare false notizie a sostegno dei ribelli anti-Assad. Il piano anti radicalizzazione «Prevent Strategy», varato nel 2011 dal Segretario agli Interni britannico, prevede, invece, l'uso d'infiltrati ignari del proprio ruolo tra le fila jihadiste.
Dunque anche le ambiguità di due docenti come la Rahman e la El Mahdi contengono probabilmente una verità ancora da svelare. Una verità che anche gli apparati egiziani cercavano, sbagliando, quando s'incaponirono sull'inconsapevole Regeni.
Far lavorare la nostra intelligence su quel retroscena, scoprirlo e consegnarlo agli egiziani renderebbe evidente anche l'errore di chi ha ucciso il nostro connazionale senza capire chi lo manovrava. A quel punto anche i vertici egiziani potrebbero convincersi. E la consegna alla giustizia di chi ha sbagliato ed inutilmente ucciso non risulterebbe più un tradimento, ma una punizione.
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