Bastava dare un'occhiata ai social network o ai sondaggi online per capire che la furiosa guerra scoppiata ieri tra Regioni (per lo più governate dal Pd) e premier sulla legge di stabilità l'aveva vinta Matteo Renzi, e con la mano sinistra, almeno nella pancia del paese. Settanta a trenta per lui, secondo il rilevamento di Sky Tg24. E tra i fumi della battaglia rispunta, un po' come provocazione ma un po' anche perché sta diventando chiaro a tutti che la baracca così non regge, l'idea che le Regioni vadano superate. «Possiamo proporre al governo di riprendersi la gestione di sanità e trasporti», è stata la sfida messa ieri sul tavolo dei governatori in rivolta da Sergio Chiamparino.
Non sono un'istituzione popolare, dopo anni di inchieste e scandali, e per questo Renzi non ha esitato ieri ad impugnare il bazooka per rispondere alla loro ribellione anti-tagli: «È un atto ai limiti della provocazione minacciare di alzare le tasse a livello locale quando noi le buttiamo giù di 18 miliardi. Non credo convenga alle regioni continuare la polemica davanti a quello che è accaduto in questi anni a proposito di sprechi». Durezza inusitata ma ben calcolata, e senza guardare in faccia neppure all'amico della prima ora Chiamparino, oggi sulla scomoda sedia di presidente della Conferenza Stato Regioni. Tra i due volano parole pesanti, e minacce di dimissioni. «Piuttosto che alzare l'Irap me ne vado», dice Chiamparino, parlando di «manovra insostenibile» e accusando il governo di violare il patto di «lealtà istituzionale». Gli fa eco il governatore del Lazio Nicola Zingaretti, anche lui del Pd: «Facile tagliare le tasse con i soldi degli altri». Incalza l'umbra Catiuscia Marini: «Si dica la verità, così si costringe a tagliare sanità e trasporti». Il premier, a Milano per il vertice Asem, si scatena sui tasti dell'iPhone e twitta: «Tagliare i servizi sanitari è inaccettabile. Non ci sono troppi manager o primari? È impossibile risparmiare su acquisti o consigli regionali? Niente alibi, comincino dai loro sprechi anziché minacciare di alzare le tasse». Replica furiosa di Chiamparino: «Considero offensive le parole di Renzi perché ognuno deve guardare ai suoi sprechi: nei ministeri forse non ce ne sono?». È a quel punto che il premier decide di uscire dal vertice e denunciare davanti alle telecamere la «provocazione inaccettabile».
Come lo stesso Chiamparino ha ammesso ieri nel corso summit dei governatori precipitosamente convocato a Roma, neppure lui è stato consultato o almeno avvertito della stangata in arrivo: «L'ultimo incontro a Palazzo Chigi, con Delrio, risale a due settimane fa. Poi col governo ho avuto solo qualche scambio di sms». I presidenti di Regione provano a reagire, ma sanno che i margini di manovra politici sono ristretti: il premier ha offerto alla pubblica opinione un perfetto capro espiatorio e un esponente del governo lo spiega più o meno apertamente: «La priorità che ci siamo dati, per evitare al Paese di finire nel baratro, era quella di aumentare il potere d'acquisto dei redditi bassi e di allentare le tasse sulle imprese che creano occupazione. E siccome i soldi sono quelli che sono, li prendiamo da enti che hanno un bassissimo gradimento». Così, nella conferenza delle Regioni ieri Chiamparino ha sollevato il problema: «Hanno senso 20 regioni solo per far gestire la sanità alla politica e pagare 20 burocrazie?». Il campano Caldoro, di Fi, prende la palla al balzo e rilancia la sua antica proposta: «Proponiamo noi per primi che a questo punto le Regioni, per come sono oggi, siano sciolte».
D'altronde, spiega uno dei partecipanti, «la partita di medio termine è quella, e lo stesso Renzi non ha nascosto in passato di pensarlo». Tanto che a marzo lo disse chiaro proprio a Caldoro: «Chiuderle? Convinci i tuoi colleghi, e poi se mi alzate la palla io la schiaccio».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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