Quanto è granitico il «no» di Berlusconi su Sergio Mattarella? Sembrava questo, ieri sera, il quesito centrale – e piuttosto preoccupato - in casa renziana, al termine di una giornata frenetica di incontri: il premier ha riunito i suoi gruppi parlamentari, ha incontrato Bersani (da cui ha incassato il via libera su Mattarella), ha visto o sentito molti dirigenti del suo partito, ha ricevuto gli ex grillini (che hanno aperto su Mattarella e messo il veto su Amato). «Si parte» dal nome di Sergio Mattarella e «si arriva» a Mattarella, ha confermato in serata il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini all'uscita dalla Camera, dopo aver incontrato alcuni esponenti del suo partito tra cui Beppe Fioroni e i giovani turchi Matteo Orfini e Andrea Orlando. «Stiamo lavorando, la nottata è lunga».
Il premier sul nome dell'ex ministro della sinistra Dc è andato giù duro nel colloquio con il Cavaliere, spiegando che «siamo in grado di eleggerlo anche da soli alla quarta votazione, perché abbiamo almeno 580 voti sul suo nome». Quali voti? Quelli del Pd, che su Mattarella terrebbe una pur non entusiastica compattezza (d'altronde era uno dei nomi della terna presentata da Pier Luigi Bersani nel 2013 a Berlusconi, e anche per la minoranza sarebbe difficile rimangiarselo), e poi quelli di Sinistra e libertà, di Scelta civica, delle cosiddette Autonomie (gruppo in cui rientrano anche i senatori a vita) e persino alcune decine di ex grillini. Su cui proprio gli uomini di Sel sono stati mobilitati da Renzi, per convincerli a votare Mattarella.
I vendoliani sono stati ovviamente allettati sul candidato renziano non dalle sue caratteristiche politiche (piuttosto evanescenti) ma dalla vittoria strategica che comporterebbe per loro la rottura clamorosa del patto del Nazareno e l'elezione di un presidente «contro Berlusconi», che aprirebbe loro la strada per tornare in gioco nel centrosinistra.
Del resto, intervenendo davanti ai suoi parlamentari, Renzi ha mandato il messaggio al Cavaliere: «Sono un contraente del patto del Nazareno e lo rivendico. Ma questo non significa che prendiamo il loro nome. Non facciamo diktat ma non accettiamo veti». Insomma: no ad Amato, in quanto candidato di Berlusconi (e della minoranza Pd). L'alternativa a Mattarella, avrebbe lasciato ancora capire il premier, sarebbe un candidato non politico ma tecnico, e magari di un genere particolarmente inviso a Forza Italia: lo stesso Berlusconi ha spiegato ai suoi di aver sentito fare il nome di Raffaele Cantone, magistrato e presidente dell'autorità Anticorruzione. Poi c'è sempre l'ombra di Banquo di Romano Prodi, buttato in pista «astutamente» dai grillini, con una mossa che ieri ha fornito un'ulteriore arma di pressione al premier nei confronti del Cavaliere.
Un'operazione che non ha aumentato le simpatie per Prodi in casa Pd: «Un personaggio di quella caratura che si lascia usare per i giochetti di Grillo e Casaleggio senza dire una parola è un vero disperato», nota un dirigente (che non lo dice esplicitamente, ma fa intendere che il giudizio si estenda anche agli altri «candidati passivi» dei grillini, tipo Bersani). Mattarella contro Amato: ieri l'impasse ruotava attorno a questi due nomi. Aprendo spiragli alle speranze di tanti aspiranti candidati.
Nei corridoi di Montecitorio si agitavano i partiti di Veltroni e di Fassino, della Finocchiaro e di Casini. E naturalmente quello di Bersani: «Perché se si arriva alla candidatura di un leader Pd – diceva un bersaniano – e Walter pensa di essere lui, si va alla conta e Bersani ha sicuramente più voti». Insomma, come sintetizza la parlamentare Anna Ascani: «Se si va su candidati del Pd, chiunque siano verranno impallinati», sottinteso nel Pd stesso.
Renzi riunisce domani alle 13 i grandi elettori Pd, dopo l'incontro mattutino col Cavaliere. Da Palazzo Chigi, intanto, si tenta di evitare una dilatazione della «graticola»: si vorrebbe una seconda votazione domani sera, per arrivare già venerdì pomeriggio alla quarta chiama, quella con il quorum più basso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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