Il responsabile dei buchi nei conti

Su la Repubblica gli economisti Tito Boeri e Roberto Perotti hanno di nuovo richiamato l'attenzione su un disastro che pochi hanno voluto denunciare: quello del Pnrr

Il responsabile dei buchi nei conti
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Su la Repubblica gli economisti Tito Boeri e Roberto Perotti hanno di nuovo richiamato l'attenzione su un disastro che pochi hanno voluto denunciare: quello del Pnrr. In fondo la loro analisi evidenzia che la pandemia è stata, per il nostro Paese, l'occasione di un'ulteriore espansione della spesa: con il risultato che i soldi provenienti da Bruxelles hanno aggravato una situazione debitoria già molto difficile.

Nell'articolo si evidenzia come il governo giallorosso, guidato da Giuseppe Conte (nella foto), abbia battuto cassa più di ogni altro non già sulla base di esigenze reali (ammesso che esistano buone ragioni per il debito pubblico, grazie al quale chiunque spende indebitando qualcun altro), ma invece illudendosi che quegli aiuti fossero a costo zero. In un clima impazzito legato all'emergenza sanitaria, a Roma si pensò che quanto prima non era possibile all'improvviso fosse divenuto lecito e perfino doveroso. Se si considera che parallelamente veniva messo in cantiere il superbonus, il risultato è che «nel giro di un anno, tra maggio 2020 e aprile 2021, ci siamo dunque ritrovati due programmi di spesa pubblica addizionale di almeno 420 miliardi»: un'autentica mostruosità.

Sul piano della tenuta dei conti pubblici la devastazione è evidente, anche se qualche sedicente teorico della cosiddetta Mmt (Teoria monetaria moderna, ndr) magari ci dirà che il debito non è mai un problema, perché a ogni indebitamento corrisponde un credito (con il «piccolo» problema che non è affatto detto che i due soggetti siano i medesimi). C'è però un'altra questione e perfino più grave.

La «pandemia statalista», come fu battezzata dai pochi che provarono a contrastare quel delirio interventista, ha rappresentato un'emergenza nell'emergenza: il reale o presunto «stato di necessità» legato al Covid-19 ha aperto la strada a decisioni eccezionali e spesso del tutto irrazionali. Questo, però, ha inciso in profondità nella struttura economica italiana, che ora non appare in grado di ridimensionare le richieste di aiuto, posti pubblici, sussidi e via dicendo.

Solo per citare un esempio, le difficoltà degli atenei italiani che premono sul governo al fine di ottenere fondi derivano proprio dal fatto che il Pnrr ha creato posti e attese che il «ritorno alla realtà» non è in grado di assicurare. È un vecchia regola: quando lo Stato si dilata e in breve tempo, non è facile ridurre gli spazi che ha occupato.

Per giunta, gravi colpe sono da addebitare alle autorità europee, che invece che contrastare il becero populismo di Conte e dei suoi, sono state il perfetto strumento di un processo di deresponsabilizzazione volto a far credere che da qualche parte, ad esempio a Bruxelles, ci fosse la possibilità di ottenere risorse in cambio di nulla.

L'antica vocazione al parassitismo di una parte non irrilevante della nostra società ha trovato nella Commissione una sponda. C'è allora da sperare che il voto imminente apra una pagina nuova per l'Unione e ridia forza alle logiche dei Paesi detti «frugali»: anche nel nostro interesse.

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