La riforma dell’informazione Rai si farà. È questa l’unica certezza che al momento tiene in piedi viale Mazzini. Tutto il resto, somiglia sempre più ad una grande, anzi enorme, palude. Ma di quelle traditrici, piene di sabbie mobili pronte ad inghiottire qualsiasi cosa. E Matteo Renzi è una di quelle.
Se in teoria, le due "Newsroom" volute dal piano del dg Luigi Gubitosi (che non vedrà mai crescere la sua creatura visto che a primavera lascerà la poltrona), sembrano due Ferrari rampanti pronte a partire; in realtà, le criticità di un’operazione tanto ambiziosa quanto spericolata, sono molte. Moltissime. In primis: tempi e modi.
Ma la prescia renziana ha invaso viale Mazzini che, dopo anni di pennichelle e vacanzine “meritate”, si è bruscamente destata dal dolce sonno: “Datemi 150 milioni di euro e sbrigatevi!”. Ed ora ci si trova a comporre un piatto anche se mancano alcuni ingredienti fondamentali e con decine di direttori e vice pronti a fare ricorso.
In un futuro (molto) remoto, aprirà le danze la Newsroom 1, in cui confluiranno Tg1, Tg2 e Rai Parlamento, “con chiara vocazione generalista ed istituzionale”. Da sottolineare: “istituzionale”. Fin qui, potrebbe anche andare tutto bene. Seguirà la Newsroom 2 che comprenderà Tg3, Rainews24 e Tgr, ognuno con il suo personalissimo problema.
Forse a qualcuno del settimo piano sarà sfuggito che la digitalizzazione delle sedi regionali della televisione pubblica non è ancora finita (ancora ferma a Genova). Stesso discorso vale per Rainews che, pur essendo nata figlia del digitale, ha un sistema operativo decisamente obsoleto. Viene proprio da chiedersi: non sarebbe stato più corretto risolvere queste “grane” e poi rivoluzionare l’informazione Rai? Sì, sarebbe stata una scelta saggia. Eppure il rischio di fare figli ciechi, non ha scoraggiato il dg.
In questo groviglio, poi, spunta il Tg3. Che, a livello tecnico, non ha nessuna falla, ma, sul piano politico, si trasformerà nella vera arena di combattimento in cui, volente o nolente, anche Renzi dovrà scendere. Bianca Berlinguer, attuale direttrice dell’ex tele Kabul, sin dal primo giorno, ha bocciato il piano di riorganizzazione dell’informazione targata viale Mazzini. La motivazione del dissenso sull’accorpamento nasce “dall’identità sbiadita di un canale all-news (e di Rainews in particolare visti gli ascolti ndr)” che cozza un po’ troppo con la linea editoriale del Tg3. Quindi? La risposta è scontata: se la Berlinguer non dovesse arrivare a capo delle Newsroom 2 (difficile da pensare visto che Matteo Renzi non vuole certo una tela Kabul a reti unificate), sembrerebbe pronta a dimettersi. A quel punto, si dovrebbe per forza nominare un direttore ad interim se si vuole procedere con l’accorpamento.
Resta poi il grande punto interrogativo di chi si siederà sulle due mega poltrone di direttore delle Newsroom. Secondo alcuni le candidature, ormai stracotte, di Mario Orfeo, attuale direttore del Tg1 e quella di Monica Maggioni, a capo della testata di Rainews, sarebbero ancora le più probabili. Ma, un colpo di coda, potrebbe portare la Berlinguer sulla poltrona più “calda” di tutta la Rai.
Da dietro le quinte, però, spuntano anche i nomi di Antonio Bella, inviato da Parigi del Tg1, papabile per la Newsroom 1; Rizzo Nervo, veterano di viale Mazzini, molto stimato e uno degli uomini chiave della riforma dell’informazione e Nicola Sinisi, direttore della Radiofonia.
Un toto nomi che Renzi guarderà, senza mai “sporcarsi le mani”, attentamente. Perché lui, una Rai anti-governativa, proprio non la vuole. E grazie anche ai due futuri mega direttori, il servizio pubblico si trasformerà radicalmente: da mezzo a strumento.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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