Sì europeo al "megafondo" da 2mila miliardi. Paesi del Nord all'angolo. E Salvini si astiene

I deputati di Bruxelles (grazie al Ppe) dettano la linea alla Commissione chiedendo più sovvenzioni e meno prestiti. I tempi, però, non saranno brevi

Sì europeo al "megafondo" da 2mila miliardi. Paesi del Nord all'angolo. E Salvini si astiene

Quasi tutti lo vogliono, e i 505 voti a favore ieri all'Europarlamento ne sono la plastica rappresentazione, ma il Recovery Fund resta una splendida cornice con un quadro ancora tutto da dipingere. Berlusconi ha votato a favore («Vittoria del Ppe»), mentre Salvini si è astenuto. Bruxelles punta su una dotazione, da creare attraverso l'emissione «di obbligazioni a lungo termine», di 2mila miliardi. È un salto quadruplo rispetto ai 500 miliardi su cui, non senza contrasti, si discuteva fino a qualche settimana fa. Ed è anche un tuffo carpiato ad elevatissimo coefficiente: il rischio è di non trovare acqua nella piscina se i Paesi del Nord decideranno di togliere il tappo perché gli aiuti sono troppo sbilanciati sull'asse delle sovvenzioni a fondo perduto (grants), come viene indicato dalla risoluzione di ieri, e molto meno su quello dei prestiti (loans), ovviamente da restituire. Un punto divisivo, con perfino più scorie velenose rispetto a quelle che hanno intossicato fino alla sua approvazione il pacchetto anti-Covid composto finora da Mes (240 miliardi), Sure (100 miliardi) e Bei (200 miliardi).

E per quanto «urgente e necessaria», come indicato lo scorso 23 aprile dal numero uno del Consiglio europeo, Charles Michel, la cosiddetta «quarta gamba» è come un treno che ha accumulato ritardi fin dalla stazione di partenza. Bisognerà aspettare infatti il 27 maggio prima che Ursula von der Leyen dettagli la proposta della Commissione Ue. Visto che il 6 maggio il documento doveva essere già pronto, le tre settimane in più sono il sintomo chiaro di un percorso pieno di buche. Ben che vada, il fondo vedrà la luce non prima dell'inizio del 2012.

Le voragini create dal coronavirus richiederebbero invece una risposta più veloce. E ben altre risorse. Anche perché, a parte lo scudo contro la disoccupazione Sure su cui il Consiglio europeo ha raggiunto ieri un accordo politico, gli altri strumenti messi in campo appaiono esigui per ammontare senza un adeguato rinforzo supplementare. Oltretutto, nessuno sembra voler utilizzare il Mes, fonte di contrasti in Italia non mancano sull'effettiva necessità di un suo impiego e sulla presenza o meno di condizionalità, mentre la dotazione Bei si basa sull'effetto leva e la Germania ne chiede un uso riservato esclusivamente alle piccole e medie imprese.

Esclusa l'emissione di bond con le stelline sotto l'ombrello della Bce, peraltro ora impegnata a rintuzzare gli attacchi al quantitative easing della Corte costituzionale tedesca, il Recovery Fund appare l'unica soluzione. Ma un altro problema legato al suo possibile varo sta nell'ostacolo posto dal bilancio Ue, al quale verranno a mancare dal prossimo gennaio i 60 miliardi di contribuzione britannica. Il bilancio è finanziato dagli Stati membri in modo proporzionale al Pil, ma la proposta di compromesso del Consiglio Ue di destinare l'1,07% ha già fatto storcere il naso tanto ai Paesi che chiedevano uno sforzo maggiore, quanto a quelli rigoristi non disposti ad allargare i cordoni della borsa.

Nel testo licenziato dall'Europarlamento c'è l'invito rivolto ai governi e alla Commissione a «prendere decisioni coraggiose riguardo alla riforma del sistema delle risorse proprie dell'Ue».

E si suggerisce qualche soluzione per il reperimento dei fondi senza un aumento dei contributi, fra cui una base imponibile consolidata comune per l'imposta sulle società, la tassazione delle transazioni finanziarie e un contributo per la plastica. Se non vi sarà accordo, l'Europarlamento ha già minacciato l'intenzione di voler esercitare il potere di veto sull'approvazione del bilancio.

Un braccio di ferro che porterebbe il Recovery Fund sul binario morto.

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