Nell'ennesimo cortocircuito tra giustizia e politica, la sinistra approfitta del nuovo Codice degli appalti per costruire una polemica senza fondamento, destinata però a segnare ancora una volta una rottura politica su un tema che dovrebbe stare a cuore a tutti: la ripresa del Paese, che passa dalle opere pubbliche. Galeotta l'improvvida intervista a Repubblica del numero uno dell'Autorità Anticorruzione Giuseppe Busia, perplesso sulle presunte criticità del nuovo Codice e sulla deregulation impressa dal ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Matteo Salvini: «Opere veloci può voler dire poca trasparenza, poca concorrenza, poca qualità». Poi chiama in causa la politica, gli amministratori e il rischio che i sindaci possano favorire amici e parenti. Apriti cielo. All'opposizione non resta che accodarsi e sparare ad alzo zero, alimentando la solita narrazione: così si aiuta la mafia e la corruzione, il governo sta con i boss, dando appalti minori anche al cugino o a chi li ha votati».
La Lega parla di «gravi, inqualificabili e disinformate dichiarazioni del presidente Busia» e ne chiede la testa, anche i sindaci salgono sulle barricate, tanto che in serata l'ex capo di gabinetto dei ministri di uno dei governi Prodi è costretto a una frettolosa ritirata: «Verso i sindaci Anac nutre solo ammirazione, sono degli eroi. Come pure i funzionari pubblici, che nella stragrande maggioranza che servono l'istituzione e lavorano per fare bene. È vero che la complicazione normativa inutile è occasione di corruzione, ma non possiamo buttare via tutti i controlli». Anche Fabio Cintioli, ordinario di Diritto amministrativo dell'Università degli Studi internazionali di Roma difende l'impianto della norma: «È più facile che il rapporto corruttivo si nasconda in una procedura molto articolata che in un affidamento diretto», aveva spiegato. Per Erica Mazzetti, parlamentare di Forza Italia, e relatrice del provvedimento l'Anac non ha la prerogativa di sostituirsi al legislatore, spetta al Parlamento e la governo l'esercizio dell'indirizzo politico. Incidente rientrato? Neanche per scherzo.
Mentre fonti del Mit rinnovano la fiducia a Busia, il Pd parla di attacchi della Lega «contro chi denuncia con forza le criticità del nuovo Codice e il rischio sempre più forte di infiltrazioni ancora più massicce della criminalità organizzata», dice il presidente dei senatori Pd Francesco Boccia, mentre Azione chiede «la nomina di commissari regionali per la realizzazione del Pnrr». Anche l'ex procuratore di Milano Alfredo Robledo è critico su una riforma «da liberi tutti, in una logica da Far West», che a suo dire provocherà «una valanga di ricorsi al Tar, al Consiglio di Stato e per ultimo alla Cedu perché violerebbe i principi di concorrenza tanto cari all'Europa. Dove sta la verità? L'Anac, inventata da Matteo Renzi nel 2014, aveva di fatto scritto il vecchio Codice, che appena attuato aveva mandato in bambola quasi tutte le stazioni appaltanti per la messe di paletti che imponeva. Tanto è vero che alcune opere come il Ponte Morandi, così come quelle del Pnrr sono fatte in deroga, sia sulla trasparenza, sia sulle soglie, sia sui controlli, rispetto al codice dei contratti previsto dal decreto legge 76/2020. L'Esposizione di Milano del 2015 venne realizzata grazie a 87 deroghe sul codice ancora precedente. Segno che troppe regole scoraggiano (forse) la mafia ma paralizzano l'Italia. Ma siccome a farla su Beppe Sala nessuno fiatò. «Non è un codice penale, è un codice del fare che aiuterà le piccole e medie imprese», aveva detto Salvini nei giorni scorsi a Milano in un convegno organizzato dalla presidente dell'Ordine dei commercialisti Marcella Caradonna. D'altronde, è vero che la mafia detta regole e banchetta con i soldi pubblici, ma è altrettanto vero che le opere in deroga non hanno segnalato particolari criticità rispetto alle infiltrazioni mafiose.
«Il rischio sugli appalti di importo inferiore alle soglie comunitarie mediante procedure negoziate o affidamenti diretti deve essere bilanciato da una necessaria e condivisa scelta di semplificazione, richiesta da tutti e contenuta sia negli obiettivi del Pnrr sia nelle istanze degli attori coinvolti nella revisione del Codice», spiega Antonino Ditto, avvocato amministrativista milanese.
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