Oltre due studenti su dieci abbandonano la scuola rinunciando ad ottenere almeno un diploma di scuola secondaria. A scorrere i numeri del rapporto Ocse «Education at a glance», colpisce il dato della dispersione scolastica italiana tra le nuove generazioni: l'abbandono è infatti del 22% contro il 14% della media dei paesi Ocse. Una sconfitta che investe soprattutto il Meridione e allarma il ministro dell'Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara: «Tutto ciò ci mostra un'Italia spaccata in due, un fatto moralmente inaccettabile, tanto che abbiamo varato Agenda Sud che coinvolge 2mila scuole in particolare primarie, con una sperimentazione su 10 punti. Il 18 ottobre sarò a Caivano ad annunciare la presenza di una ventina di nuovi docenti insieme ad altre iniziative».
Ma se il futuro di una nazione passa soprattutto dall'educazione dei suoi giovani, gli sforzi economici sono ancora poco competitivi. L'Italia investe il 4,2% del suo Pil nell'istruzione dal livello primario a quello terziario, contro il 5,1 della media Ocse. Un esempio? Alle medie e alle superiori spendiamo un quarto in meno di francesi e tedeschi svolgendo i programmi scolastici con 143 ore in meno rispetto agli altri stati. I nostri professori, poi, sono mal pagati, guadagnano sensibilmente di meno dei loro colleghi all'estero: circa 44mila dollari (cioè 32mila euro) all'anno per un docente delle superiori con un'anzianità di 15 anni contro una media Ocse di 53mila dollari. Chi invece finisce ad insegnare alle scuole medie inferiori ha uno stipendio che crolla del 30% rispetto a chi sceglie un'altra professione. Non è un caso che il mestiere del prof sia disertato dai giovani: sei docenti su dieci hanno più di 50 anni, i colleghi stranieri ne hanno in media 39. Le donne sono ancora svantaggiate per i ruoli più prestigiosi: all'università oltre il 60% del personale è costituito da uomini.
Se ci spostiamo sul pianeta studenti, il primo dato negativo riguarda i Neet, «gli sdraiati», cioè ragazzi che non studiano più ma neppure cercano un lavoro. In Italia esiste un 16% di laureati che si gira i pollici fino ai 29 anni (all'estero si fermano al 9,9%). Un diploma tecnico-professionale peggiora la situazione: quasi tre ragazzi su dieci non lavorano, cioè 26,2%, all'estero si fermano al 17,1%. In particolare, quelli freschi di diploma sono i più penalizzati: nonostante il mondo del lavoro sostenga di avere bisogno di manodopera giovanile, solo il 55% dei diplomati tecnici- professionali (record negativo Ocse) entra nel mondo del lavoro entro due anni dalla maturità. E, oltre al danno la beffa, i 25-34enni diplomati guadagnano soltanto il 4% in più di chi un diploma non ce l'ha, meno che in qualunque altro Paese al mondo. Ma questi record negativi fanno intuire una discutibile qualità della formazione professionale che dovrebbe fare la differenza nel mondo del lavoro. Perché, c'è modo e modo di studiare. La metà degli studenti colleziona almeno una bocciatura nei cinque anni, (contro il 79% dei liceali). E alla fine, solo il 70% dei professionali ottiene l'agognato diploma con uno o due anni di ritardo (contro il 90% dei liceali).
Ma i ragazzi italiani preferiscono imboccare la strada più breve per finire gli studi: il tecnico-professionale è il percorso
più gettonato anche se in controtendenza rispetto agli altri paesi: il 40% contro una media Ocse del 23%. Va da sé che i laureati siano poco più della metà rispetto agli altri Paesi (il 14 contro il 22% della media Ocse).
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