Cecilia Sala se l'è cercata, la professione, e, cinicamente parlando, la galera in Iran è quanto mancava a un curriculum che dimostra la seconda notizia che la riguarda: che la sua professione esiste ancora (la sua, ripetiamo) e che esiste in un'epoca in cui, un figlio che volesse fare il giornalista, bisognerebbe rinchiuderlo: perché soldi non ce ne sono più, posti fissi neanche, e anche gli inviati in Paesi problematici scontano le corrispondenze di chi vive lì, e si fa bastare un cellulare.
La 29enne Cecilia Sala, personalmente, neppure la conosciamo, ma è attuale, perché noi siamo qui a dissertare di carceri e indulto, mentre lei, pur isolata, si trova in una delle carceri più affollate del Pianeta (peggio è solo la Bolivia) in un Paese che negli ultimi anni ha dovuto graziare migliaia di detenuti. Cecilia Sala è attuale, perché noi siamo qui coi nostri mentecatti che si stracciano le vesti perché si vuole riformare la Giustizia, e lei intanto si trova in un paese, l'Iran, dove chi critica l'islam può rischiare la morte o se va bene si becca una pena detentiva sino a cinque anni, o, per un insulto all'ayatollah, sino a due anni con una «condizionale» di settantaquattro frustate. Cecilia Sala è attuale, perché lei è una femminista vera (poi non sappiamo neanche se dica di esserlo) perché noi siano qui con le nostre minorate che vietano la proiezione di Ultimo tango a Parigi, e lei intanto si trova nel Paese in cui tre anni fa arrestarono Mahsa Amini (22 anni) con la «polizia morale» iraniana che le impartì una «lezione informativa» che si tradusse nella sua morte. Cecilia Sala si trova nel Paese in cui nel 2022 marciarono contro l'imposizione della legge sull'hijab obbligatorio per le donne, anche se quelle proteste contro l'oppressione, quei cortei, in Occidente non ebbero certo l'eco sperato, non quello che ebbero le nostre gravissime pacche sul sedere da parte del «patriarcato»: forse perché in Iran non successe granché, il governo in fondo rispose solo con 20mila arresti e circa 500 uccisioni tra i manifestanti, oltreché con varie impiccagioni tra i rivoltosi.
Cecilia Sala non ha neanche trent'anni, lavora per questo e per quello, è una freelance, ha seguito la crisi in Venezuela, le proteste in Cile e la caduta di Kabul nelle mani dei talebani, ha seguito anche l'evoluzione della guerra in Ucraina, poi se volete vi spieghiamo che è carina, che telefona spesso a sua madre, che ha l'occhio sgranato, una fonetica romana con cadenza nordica, che sembra un'esuberante compagna del liceo, ma queste sarebbero cazzate, forse è più rilevante che aveva pubblicato, prima dell'arresto, un podcast sul patriarcato a Teheran (il patriarcato vero, non le nostre scemenze) in cui raccontava della nuova legge sull'hijab e di averne parlato con una 21enne iraniana che si chiama Diba. Ma, di tutto cuore, di snocciolare il curriculum di Cecilia Sala, ora, c'importa zero, perché in Italia un giornalista lavora dove riesce a farlo, e studia se serve (lei ha interrotto gli studi alla Bocconi poco prima della laurea, e ci sarebbe da dire anche su questo) e ha fatto in tempo, Cecilia Sala, a pubblicare due libri per Mondadori compreso un reportage generazionale tra Iran e Ucraina e Afghanistan.
Poi, se volete, vi raccontiamo che è stata intervistata da Alessandro Cattelan (nessuno è perfetto) e che ha vinto un premietto giornalistico, che legge John Steinbeck ma anche Oriana Fallaci, che guarda al vecchio giornalismo, ma sa usare anche tutti gli strumenti del nuovo, perché è attuale, Cecilia Sala, anche se in fondo non ce ne frega più di tanto, perché è una nostra concittadina che potrebbe essere una totale incapace (non lo è) e farebbe lo stesso: una teocrazia la tiene prigioniera e deve liberarla.
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