"Serve un accordo prima possibile. Ogni giorno decisivo per gli ostaggi"

Un parente: "Niente stop alle armi senza il ritorno dei nostri cari"

"Serve un accordo prima possibile. Ogni giorno decisivo per gli ostaggi"
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«Ogni giorno, ogni ora è una questione di vita o di morte. La nostra paura più grande adesso è che si chiuda un accordo che non preveda il rilascio degli ostaggi». Gil Dickmann ha 31 anni, è uno studente di Tel Aviv che ha trascorso i momenti più belli della sua vita, dall'infanzia, a Beeri, uno dei kibbutz devastati da Hamas, da cui proviene la madre. Sua zia Kinneret Gat, 68 anni, è stata uccisa. «Abbiamo scoperto della sua morte dai video di Hamas su Telegram. Abbiamo avvisato noi la polizia». La figlia, sua cugina Carmel Gat, 39 anni, è stata rapita e da 188 giorni è ostaggio a Gaza.

Da sei mesi, lei partecipa e guida le proteste del Forum delle famiglie degli ostaggi per chiedere un'intesa per la loro liberazione. Cosa pensa del pressing di Biden su Israele perché annunci un cessate il fuoco?

«Il nostro peggior incubo è una tregua senza il rilascio degli ostaggi. Se il mondo ci impone uno stop alla guerra, senza garanzia di riavere in cambio i nostri cari, siamo certi che li perderemo. Qualsiasi accordo - e speriamo che se ne chiuda uno prima possibile - deve includere il ritorno dei rapiti».

Lei sostiene che la strategia della pressione militare riporta a casa solo ostaggi morti. Il governo israeliano sta fallendo?

«Non sono un politico e non sono uno stratega. Ma ho visto che la pressione militare ha riportato a casa solo tre ostaggi. Gli altri sono stati liberati grazie a un accordo. Molti sono morti in cattività a Gaza perché Hamas crede nella morte. Quindi scelgo la strada di un'intesa. Ogni giorno può essere l'ultimo per gli ostaggi. Ogni giorno uccide la loro anima».

Israele non vuole pagare un prezzo troppo alto. Hamas sta alzando la posta.

«Possiamo pagare un prezzo. Bisogna agire ora. Perché per eliminare Hamas potrebbero volerci anni. Israele è un Paese forte. Deve riportare a casa gli ostaggi e poi parleremo di come riacquistare le nostre vite, congelate dal 7 ottobre».

La preoccupa l'annunciato attacco di terra a Rafah?

«Molto. Non so se ci sarà davvero, ma di certo metterebbe ulteriormente a rischio la vita degli ostaggi. Anche per questo serve un accordo adesso».

Crede che questo governo possa arrivare a un'intesa?

«Sì, anche grazie alla nostra pressione che ha contribuito a raggiungere la prima tregua e la liberazione di alcuni ostaggi a novembre. Non ho mai votato per i partiti che compongono il governo, ma è il mio governo e devo credere che porterà a una soluzione e premere perché prenda la decisione giusta: firmare un'intesa».

Lei ha detto: detesto vedere morti dall'altra parte della frontiera. Troppi palestinesi uccisi?

«La vendetta non serve. Quello che sta succedendo a Gaza non è una vittoria.

Anche perché anche i palestinesi sono vittime di Hamas. Non è israeliani contro palestinesi. Noi crediamo nella vita e che possiamo vivere insieme. Hamas crede nella morte. È questo il grande conflitto che dobbiamo vincere».

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