La formula è quella della «nessuna preclusione» sull'approdo del premier Mario Draghi al Quirinale. Ma l'arzigogolo lessicale nasconde le difficoltà dei partiti nella ricerca di un candidato credibile e numericamente forte per la corsa alla successione di Sergio Mattarella. Così Draghi, da «riserva della Repubblica» di prestigio indiscutibile, a causa dell'inconsistenza delle strategie delle forze politiche rischia di diventare quasi una carta di riserva per il Colle. La figurina più autorevole, in grado di assicurare la compattezza del Parlamento, da estrarre dal mazzo per evitare un capo dello Stato poco gradito ai leader più in difficoltà. E c'è da dire che il silenzio da sfinge dell'ex governatore della Bce può assecondare le congetture sul suo futuro. L'unica incursione del presidente del Consiglio nel dibattito sul Quirinale risale al 22 dicembre scorso, durante la conferenza stampa di fine anno. La battuta sul «nonno delle istituzioni» ha scatenato una serie di reazioni sulla volontà, vera o presunta, di traslocare sul Colle più alto. Così come pure le considerazioni sul governo che deve andare avanti «a prescindere da chi c'è» e l'auspicio di un'elezione del presidente della Repubblica «a maggioranza ampia». Frasi che tutti gli osservatori hanno interpretato come la spia dell'ambizione di salire al Quirinale.
Appigli per i partiti nel caos, alla ricerca di una soluzione che eviti una conta in cui il centrodestra, se unito, parte avvantaggiato. Da qui i retroscena sulle manovre del segretario del Pd Enrico Letta per eleggere Draghi e assicurare comunque continuità alla legislatura, magari attraverso la composizione di una nuova maggioranza simile a quella giallorossa, guidata a Palazzo Chigi da un premier gradito al Nazareno, se non proprio dallo stesso Letta. Anche se continuano a circolare le voci di un segretario al quale non dispiacerebbero nemmeno le urne anticipate. Scenario però avversato da gran parte dei parlamentari dem, soprattutto dagli ex renziani.
E non può fare a meno di rifugiarsi nella formula della «non preclusione» il M5s di Giuseppe Conte. Per i pentastellati la compattezza dei gruppi appare come una chimera, anche se Conte invita all'unità. I grillini, nel giro di poche ore, sono passati dalla proposta di una donna al Quirinale alla richiesta di un Mattarella bis avanzata dai parlamentari fino ad arrivare alla solita conclusione di comodo: non escludiamo nemmeno Draghi al Colle. «Nessuna preclusione su Draghi, ma no a crisi al buio», ha detto il ministro contiano Stefano Patuanelli. E lo stesso Conte in assemblea ha rinviato ogni decisione alla congiunta della settimana prossima. Il leader - di fatto commissariato - ha cercato di tranquillizzare la truppa: «Lavorerò con i vostri capigruppo, non credete a quello che scrivono. Non ho fatto nomi e parlo con tutti senza ricorrere a emissari». Eppure tra deputati e senatori continua a serpeggiare il sospetto che Conte voglia che il premier diventi capo dello Stato per andare a elezioni anticipate. Nasce da qui la contromossa parlamentare del Mattarella bis. Un modo per mettere pressione al leader e stoppare la tentazione delle urne. Ma nei 5 Stelle lo scontro è a tutto campo. «I gruppi si opporranno a qualunque decisione di Conte», prevede un'autorevole fonte interna. E pare essersene reso conto anche Letta, che viene descritto come preoccupato dalla situazione nel M5s e intenzionato a non dare più credito a un Conte sempre più isolato e delegittimato. Il gruppo del Senato è una polveriera. E se Danilo Toninelli provoca il panico in chat chiedendo di «ufficializzare» il sostegno al bis di Mattarella, secondo l'Adnkronos Paola Taverna durante l'assemblea dei senatori di lunedì avrebbe sbottato all'indirizzo della capogruppo Mariolina Castellone: «Ma che siamo in autogestione?»
Mentre puntano sulla permanenza di Draghi a Palazzo Chigi il centrodestra di governo e i gruppi centristi. Giorgia Meloni vede le urne anticipate. Da Iv è arrivato un no secco alla salita al Colle dell'attuale premier. «Meloni, Conte e Letta vogliono il voto.
Loro manderebbero Draghi al Colle solo per andare a votare», ha spiegato Maria Elena Boschi in un'intervista a La Stampa. Per l'esponente di Iv «andare a votare nel 2022 sarebbe un errore» e «un governo tecnico senza la credibilità di Draghi sarebbe meno forte».
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