Lo show di Xi, gli autocrati e le bugie di regime

Che lo sport sia anche una guerra combattuta dagli atleti anziché dai soldati lo sappiamo fin dal 1936 quando Adolf Hitler trasformò le Olimpiadi in un palco affacciato sulla potenza del Terzo Reich.

Lo show di Xi, gli autocrati e le bugie di regime

Che lo sport sia anche una guerra combattuta dagli atleti anziché dai soldati lo sappiamo fin dal 1936 quando Adolf Hitler trasformò le Olimpiadi in un palco affacciato sulla potenza del Terzo Reich. Caduto il Fuhrer toccò all'Unione Sovietica e agli alleati del Patto di Varsavia schierare plotoni di nuotatrici-virago pronte a dominare le vasche olimpiche a colpi di ormoni. Del resto anche le Olimpiadi di Roma del 1960 contribuirono, seppur più bonariamente, a mostrare il volto di un Italia pronta ad intraprendere la strada della rinascita dopo un difficile dopo guerra. In tema di paragoni però, i giochi invernali di Pechino ci riportano inevitabilmente alla Berlino del 1936.

Con una differenza sostanziale. Là, nonostante le persecuzioni fossero già incominciate, le deportazioni di massa e il genocidio degli ebrei dovevano ancora iniziare. A Pechino invece lo schermo dei cinque anelli, oltre a proiettare l'immagine di una Cina sempre più potente in campo economico e militare, nasconde anche un genocidio già avviato. La farsa dell'accensione del braciere olimpico affidata alla fondista uighura Diniger Ylamuijang punta a distogliere la vista dagli orrori dello Xinjiang dove, dal 2017 ad oggi, oltre un milione di musulmani sono stati deportati in campi di lavoro. Ma la repressione della minoranza uighura va di pari passo con la normalizzazione del Tibet dove una capillare colonizzazione ha trasformato in minoranza la popolazione originaria. Il tutto mentre continua l'irreggimentazione di Hong Kong dove il principio di «uno stato due sistemi», introdotto per garantire lo stato di diritto almeno fino al 2047, è stato cancellato a colpi di leggi speciali. Davanti allo schermo dei cinque anelli il regime cinese schiera invece gli alleati e gli amici chiamati a sancire, con Vladimir Putin in testa, la politica di contrapposizione all'Occidente. Una politica che è anche lotta per il controllo di energia e commerci. Perché se la sintonia con il presidente russo è sinonimo di alleanza strategica a livello planetario quella con il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sissi, padrone di Suez, è simbolo della lotta per il controllo delle rotte commerciali. Dietro i posti d'onore riservati al principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, all'omologo degli emirati Mohamed bin Zayed e all'emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani s'intravvede invece il tiro alla fune intrapreso per strappare all'Occidente le forniture di gas e petrolio. Ma non sono le uniche sfide.

Ogni stella sul medagliere simboleggerà anche le flotte di droni, portaerei e lanciamissili schierate dal presidente Xi Jinping per dominare il Pacifico.

Mentre le ferree misure sanitarie imposte per evitare i contagi, e garantire l'indiretto controllo di ospiti e atleti, non devono farci dimenticare un'altra verità nascosta. Ovvero che sotto i panni del «grande infermiere» si cela l'untore responsabile dello scoppio pandemia e della sua diffusione a livello globale.

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