Il sospiro di sollievo si è probabilmente sentito fino a Parigi: meglio un po' di incertezza e un governo di coalizione del terremoto Le Pen, meglio la sinistra che i sovranisti francesi. Nei palazzi di Bruxelles (sia sul fronte Nato, sia su quello dell'Unione Europea) una vittoria del Rassemblement National, con conseguente formazione di un governo a guida Jordan Bardella, era considerata una specie di iattura. Ora si apre una fase confusa e dai contorni ancora opachi senza però che il temuto scossone si sia verificato.
Nel quartiere che ospita le istituzioni dell'Unione si riteneva che una eventuale coabitazione Bardella-Macron sarebbe stata ben diversa e più difficile dell'ultima, durata cinque anni, dal 1997 al 2002, tra il premier socialista Lionel Jospin e il presidente neogollista Jacques Chirac. L'opinione diffusa era stata sintetizzata qualche giorno fa su Le Monde da Thomas Gomart, direttore dell'Institut Français des Relations Internationales: «Chirac e Jospin avevano la stessa grammatica in tema di politica estera, ma tra Macron e il Rassemblement le differenze sono troppo plateali». Quanto alla Nato, da sempre funzionari e alti comandi militari guardano alla formazione della Le Pen con una non dissimulata diffidenza. Fino a un paio di anni fa nel programma del Rn c'era l'uscita dal comando integrato dell'Alleanza (del resto i francesi ci sono rientrati solo nel 2009 dopo una più che quarantennale assenza). Successivamente allo scoppio della guerra in ucraina la posizione è cambiata, ma continuano a pesare gli atteggiamenti considerati troppo filo- putiniani di le Pen e amici.
Ora, scampato quello che a Bruxelles era considerato il pericolo maggiore, restano tutti i problemi sul tappeto. A cominciare dal principale: uno dei Paesi guida dell'Unione Europea (e della Nato) sarà impegnato nella ricerca faticosa di una maggioranza di governo. Il suo leader, Macron, si è giocato in un paio d'anni (alle presidenziali del 2022 aveva ricevuto ancora il 59% dei voti) una bella fetta di popolarità. Come si dice nel gergo politico Usa è la classica «anatra zoppa»: nel 2027, alla prossima corsa per l'Eliseo, non potrà per legge partecipare e dietro di se non lascia un movimento politico con una presenza organizzata sul territorio. Esattamente il contrario della sua rivale Le Pen, che schiera il partito di maggioranza relativa nel Paese e che per preparare la campagna del 2027 potrà approfittare di ogni passo falso dell'abborracciato esecutivo che Macron riuscirà a mettere in piedi. Difficile che un presidente indebolito riesca ad assumere il necessario ruolo di leadership, in un'Europa già indebolita dalla crisi tedesca.
A complicare le cose è l'affermazione decisa della sinistra francese rappresentata dal Nuovo fronte popolare. Il programma elettorale di Melenchon e compagni prevede un aumento della spesa pubblica di circa 150 miliardi entro il 2027. In un Paese che è già sottoposto a una procedura di inflazione per debito eccessivo (quest'anno supera il 5%) non sembra un segnale in grado di rassicurare la Commissione e i partner europei. Compreso l'ultimo arrivato, il nuovo ministro delle finanze olandese del governo di coalizione di destra, Eelco Heinen. Tempo fa al parlamento disse che il suo unico scopo nella vita era ridurre la spesa pubblica. In Olanda e in Europa. Per i rapporti tra Parigi e Bruxelles è un avviso chiaro di future tempeste.
L'ultima conseguenza del sorprendente risultato francese si avrà nella complicata risistemazione delle forze di destra negli equilibri parlamentari e politici dell'Unione.
Ancora una volta la Le Pen sembra arrivare a un passo dalla vittoria per essere poi risospinta indietro. Fatale che in qualche modo il suo peso relativo ne risenta. Per il momento l'unico tra i Paesi fondatori in grado di dare sbocco politico in Consiglio Europeo alle forze di destra resta l'Italia.
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