«Noi tuteliamo sempre i cittadini italiani. Se la signora Salis chiederà di andare ai domiciliari in Italia lo potrà fare, per quanto ci riguarda sosterremo questa proposta. Credo si possa fare e non è assolutamente in contrasto con il diritto comunitario». Sono le prime parole del ministro Antonio Tajani per commentare la decisione del Tribunale di Budapest di concedere all'attivista Ilaria Salis i domiciliari in attesa del giudizio nel processo che la vede imputata per violenza.
Tajani ricorda che la Farnesina si sta muovendo per far iscrivere la stessa Salis nell'Anagrafe degli italiani residenti all'estero così da permetterle di votare alle prossime elezioni europee che la vedono candidata per la lista di Alleanza Verdi e Sinistra nel collegio Nordovest.
Ed è proprio questa candidatura e non il silenzioso lavoro della diplomazia, secondo il padre della Salis, ad aver condizionato i giudici nella decisione di concedere i domiciliari. La «svolta» giudiziaria nel caso Salis continua dunque a infiammare il dibattito. Il padre di Ilaria, Roberto Salis, in interviste televisive e sui giornali continua a negare l'interessamento e l'azione del governo, sostenendo che soltanto il clamore della vicenda e la pressione dell'opinione pubblica dopo la candidatura della figlia nelle liste Avs (Alleanza Verdi e Sinistra) hanno fatto da leva sui giudici ungheresi. Tesi sposata anche da Nicola Fratoianni, artefice della candidatura della Salis. «Ricordo che dopo i primi 13 mesi passati da Ilaria in carcere qualcuno nel nostro Paese sosteneva che certe cose si risolvono in silenzio - commenta il segretario di Sinistra italiana -. E così i mesi di prigione sono diventati 16. Invece con l'impegno di Roberto Salis e della sua famiglia, con la mobilitazione di molti parlamentari, con la decisione dell'Alleanza Verdi Sinistra di candidarla alle Europee qualcosa si è mosso. Alzare la voce è servito, ma è solo una prima vittoria».
La diplomazia, però, non agisce alzando i toni o con manifestazioni roboanti e plateali. «Se questa prima parte della vicenda si è risolta positivamente - osserva Tajani -, non è certamente grazie all'innalzamento dei toni o alla propaganda elettorale. In casi simili il lavoro discreto conta più del rullo dei tamburi e delle urla». E il merito per Tajani è della «nostra ambasciata, che fin dall'inizio, in decine di incontri, ha tenuto rapporti positivi con le autorità ungheresi, ferme restando le nostre proteste per il trattamento subito da Ilaria Salis, soprattutto durante il trasferimento in aula dal carcere. Quelle immagini non ci sono piaciute e le nostre rimostranze sono state fatte più volte. Senza mai smettere di dialogare, però, senza minacciare. E i risultati sono arrivati».
Nel giorno in cui arriva la notizia dell'uscita di Chico Forti dal carcere di Miami e del suo ritorno (nei prossimi giorni) in Italia grazie all'intervento del nostro governo, la polemica sul caso Salis sembra poggiare su esili trame. Tanto che lo stesso Tajani evita di replicare al padre dell'attivista. «Non rispondo a polemiche di cittadini - dice il vicepremier -. Sono fiero di tutti i nostri diplomatici e sono fiero del lavoro che ha fatto la nostra ambasciata in Ungheria. Non sono parole dette in libertà che possono offuscare l'immagine di donne e uomini che rappresentano il nostro Paese nel mondo e che lavorano con grande impegno e correttezza».
La Salis è chiamata a presentarsi in aula il prossimo 24 maggio per la nuova udienza del processo . Dovrà versare una cauzione di 40mila euro.
Ed è probabile quindi che la Salis entrerà nel tribunale non più con le catene ai piedi e ai polsi, immagine che aveva destato indignazione nel nostro Paease. Ai domiciliari dovrà tenere il braccialetto elettronico e potrà uscire dalla casa dove starà solo con l'ok dei giudici.
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