Le Regioni spingono. Ieri un nuovo vertice e i governatori scalpitano, firmano provvedimenti, annunciano manifestazioni. Non vogliono rinunciare, insomma, a quel margine di manovra che il governo ha lasciato loro sulle riaperture, esattamente due settimane fa. Allora, visto anche il marasma della maggioranza, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte aveva deciso di passare ai governatori il «cerino» della Fase 2, lasciando che fossero loro a produrre le linee-guida da ratificare.
Questa impostazione è stata mantenuta, tanto che le Regioni si sono assunte l'onere di elaborare anche il piano del prossimo «step», per poi farlo recepire a Roma. E anche il ministro degli Affari regionali Francesco Boccia, prima di impelagarsi nel pasticcio degli «assistenti civici», ha confermato alla «Stampa» che l'esecutivo ha dato ai governatori la facoltà di organizzare la ripartenza», salvo un potere di monitoraggio e intervento, se necessario.
Facendo uso di questa «facoltà», poco prima di iniziare l'incontro coi colleghi il governatore ligure Giovanni Toti intorno alle 19 ha firmato un'ordinanza che al primo punto stabilisce proprio l'adozione in Liguria dell'«aggiornamento delle linee guida approvato il 22 maggio dalla Conferenza delle Regioni», come dire il documento di 36 pagina che i presidenti delle Regioni hanno inviato al governo in vista della messa a punto di ieri e soprattutto del vertice di venerdì, che viene visto come il via libera definitivo alle nuove riaperture.
Sullo sfondo anche la scadenza del 3 giugno, la fatidica data in cui dovrebbero essere riaperti gli spostamenti fra Regioni - ma con decreto legge, non con il solito «Dpcm», il decreto del presidente del Consiglio dei ministri cui Conte ha fatto così spesso ricorso. E Boccia, giocando sulle prerogative esclusive che lo Stato mantiene sul tema, ha avvertito che «rischiamo di non poter aprire i confini fra Regioni».
Venerdì dovrebbe essere il giorno della verità, il giorno in cui questo «via libera» sarà concesso sulla base di un livello di «rischio» risultante dalla combinazione fra il tasso di contagiosità, il numero dei tamponi effettuati e la tenuta del sistema sanitario (in particolare le capacità delle terapie intensive ospedaliere).
Per qualcuno, la Lombardia resta osservata speciale, ma intanto continua a migliorare i suoi dati. Ieri i «positivi» (148 i nuovi contagiati) si sono attestati sul 2,6% del totale dei tamponi, praticamente lo stesso livello del week-end. Venerdì, addirittura, erano scesi all'1,5% (293 positivi su 19.028 tamponi processati). Proprio venerdì la Lombardia aveva reso noto che l'«Rt» - il nuovo indice del tasso di contagiosità, più «dinamico» dell'Ro - era sceso a 0,51 - praticamente identico alla Liguria e inferiore a quello di molte altre regioni, fra cui Emilia Romagna, Lazio e Puglia. E solo 7 giorni prima era a 0,62. Tornando ai tamponi, nei giorni immediatamente precedenti, giovedì i positivi erano «soltanto» uno su 46, mercoledì uno su 39 e all'inizio della settimana circa uno su 30 all'inizio. Per fare un raffronto, intorno alla metà di aprile i tamponi positivi erano uno su 5, e il 14 aprile si arrivò al picco del 26,8%, cioè più di uno su 4.
La Lombardia non vuole farsi chiudere. Anzi scalpita, e i partiti del centrodestra hanno annunciato che il 2 giugno, giorno della manifestazione romana convocata dai leader Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni, una manifestazione-gemella sarà celebrata anche a Milano, «per far sentire al governo il malcontento dei lombardi, per portare in piazza al loro voce e farla arrivare fino a Palazzo Chigi».
Parteciperà anche Attilio Fontana, che proprio ieri ha incontrato Salvini. «La Lombardia - il messaggio - si prepara per essere protagonista della fase 2 e della fase 3 con un nuovo modello che punti su meno burocrazia, investimenti, aiuti alle categorie produttive».
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