Si chiama Croazia il passepartout diplomatico per sbloccare la crisi del grano ucraino ed evitare che l'imbuto nel Mar Nero, stretto dal rifiuto della Russia di rinnovare l'accordo, si abbatta su paesi strutturalmente deboli come Libano, Libia e Tunisia.
I porti croati sul Danubio e sul Mare Adriatico diventeranno i centri nevralgici per l'esportazione di grano ucraino, come annunciato dal ministro degli Esteri Dmytro Kuleba dopo i colloqui con il suo omologo croato, bypassando quindi sia la rotta classica da Odessa sia il possibile piano B con Romania e Grecia che era circolato nelle scorse settimane. «Ora lavoreremo per stabilire le rotte più efficienti verso questi porti e sfruttare al meglio questa opportunità - ha detto Kuleba dopo aver incontrato Gordan Grli-Radman a Kiev - Ogni porta aperta è un contributo reale ed efficace alla sicurezza alimentare globale. Grazie alla Croazia per la sua costruttiva assistenza», ha aggiunto.
Il ruolo geostrategico della Croazia sarà dunque quello di aprire un varco nello stallo tra Mosca, Kiev e Ankara proprio al fine di impedire una possibile crisi alimentare globale. Lo stesso Radman ha ricordato che la Croazia ha nel suo bagaglio un preciso know how alla voce reintegrazione pacifica dei territori occupati con l'assistenza delle Nazioni Unite oltre allo sminamento, «soprattutto alla luce del fatto che l'Ucraina è il granaio che nutre il mondo, compresi i Paesi più vulnerabili».
I primi effetti della soluzione croata si ritrovano in una freddezza in corso tra Mosca e Ankara: il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si aspettava di avere già in calendario un incontro con Vladimir Putin, mentre invece dal Cremlino non è arrivata alcuna data ufficiale, ma solo la promessa di una telefonata che si terrà domani, come annunciato dal portavoce del Cremlino Dimitry Peskov.
Tra i due leader non sarà solo il grano ad occupare l'agenda geopolitica, ma anche il dossier energetico, con la possibilità che la Turchia diventi un hub di smistamento energetico per il gas russo, passaggio questo che andrà calibrato in seno alla Nato, con cui Eedogan sembra aver riallacciato relazioni meno turbolente. Ma un eventuale nuovo accordo energetico messo in piedi con Putin potrebbe rimettere tutto in discussione. Intanto si apprende che nei soli primi dieci giorni di luglio sono state 180mila le tonnellate di grano distrutte dalle forze armate russe dopo i numerosi attacchi condotti contro i depositi di grano. Al momento i prezzi all'esportazione del grano russo hanno mantenuto i livelli dopo il picco fatto registrare la scorsa settimana a causa del ritiro della Russia dall'accordo sul grano del Mar Nero. La Russia ha esportato 930.000 tonnellate di grano la scorsa settimana rispetto a 1,2 milioni di tonnellate della settimana precedente.
Non manca infine un piccolo giallo, che tocca l'ambasciatore russo in Serbia Aleksandar Bocan-Harchenko accusato dal centro di ricerca belgradese Demostat di disinformazione. Nei giorni scorsi dalle colonne del quotidiano belgradese Politika aveva spiegato la scelta di non confermare l'accordo sul grano sostenendo che lo stesso accordo «non ha senso dato che oltre il 70 per cento dei cereali ucraini viene esportato nei Paesi più ricchi, compresi gli Stati membri dell'Unione europea, mentre quelli meno sviluppati non ottengono nemmeno il tre per cento».
Secondo il centro di ricerca quell'intervento «non ha causato nessuna reazione in Serbia, ecco perché oggi in Serbia c'è bisogno di una costante supervisione e valutazione della parola, delle notizie e dei media da parte delle organizzazioni professionali».
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