Oggi doveva essere il giorno di «Avetrana. Qui non è Hollywood», la serie dedicata all'omicidio di Sarah Scazzi avvenuto nel 2010. Ma non lo sarà. Disney+, la piattaforma streaming che con Groenlandia ha prodotto la fiction, ha annunciato l'intenzione di «ottemperare al provvedimento emesso in assenza di contraddittorio tra le parti dal Tribunale di Taranto», che mercoledì aveva disposto la sospensione della messa in onda della serie, prevista per oggi, su istanza del collegio difensivo del comune di Avetrana, secondo cui il titolo e l'ambientazione della serie diffamano il paesino pugliese, descrivendolo come una «comunità ignorante, retrograda, omertosa, eventualmente dedita alla commissione di crimini efferati di tale portata, contrariamente alla realtà». Il colosso televisivo e la società di produzione Groenlandia di Matteo Rovere, fanno sapere che «non concordano con la decisione del Tribunale» e che «faranno valere le proprie ragioni nelle sedi competenti». Certo è che la sfida appare impari: un sindaco di un comune di 6mila abitanti contro un colosso dell'audiovisivo: per questo l'impressione è che Avetrana si accontenterà di vedere accolta la richiesta minore, quella di cambiare il titolo alla serie sbianchettando il nome del paese.
Lo stop alla serie, che era stata presentata in anteprima lo scorso 18 ottobre alla Festa del Cinema di Roma, è secondo Anica e Apa una decisione «senza precedenti», priva di qualsiasi giustificazione giuridica. «La serie - fanno sapere l'associazione dell'industria cinematografica e quella dei produttori audiovisivi - si limita a raccontare fatti di risonanza pubblica oggettivamente legati a un determinato contesto, storico e geografico, come tante volte capitato in passato». Per questo, come dice Chiara Sbarigia, presidente di Apa, «il blocco preventivo della serie appare come una grave lesione di quel principio di libertà di espressione chiaramente tutelato anche a livello costituzionale e che deve essere garantito al racconto audiovisivo italiano». «Obbligare le opere audiovisive a non fare riferimenti alla cronaca e alla realtà - aggiunge Benedetto Habib, presidente dell'unione produttori di Anica - è un pericoloso precedente. I titoli basati su fatti realmente accaduti sono una costante della storia del cinema, indipendentemente dalle opinioni del pubblico o dei protagonisti sui fatti trattati, se si mantiene il rispetto verso le comunità coinvolte».
Sul caso interviene anche il regista della fiction Pippo Mezzapesa: «Credo che il limite di un narratore debba essere il pieno rispetto delle storie che si va a raccontare e delle persone (perché è sbagliato parlare di personaggi) con cui si va a vivere, che si vanno ad esplorare, che si vanno a sviscerare».
Secondo Rovere, produttore della serie, «è la Costituzione stessa che sancisce la libertà degli autori e delle autrici di esprimersi e di raccontare il presente, di raccontare la realtà, di raccontare la contemporaneità, di raccontare il mondo in cui viviamo anche proprio con l'obiettivo di elevare lo spirito critico e quindi di non addormentare chi ci guarda ma provocare riflessioni, provocare analisi».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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