No, non ne uccide più la penna della spada. Nemmeno se sostituite al calamaio un programma di scrittura sul pc e all'arma bianca una granata. La guerra è una grande stronza. E quando ci si mette, chi capita capita. Anche se hai la pettorina con la scritta «press», che dovrebbe essere un salvacondotto. O forse proprio per quello. E anche se hai un giubbotto antiproiettile, come presto potrebbe accadere anche ai reporter italiani che andranno in Ucraina e che potranno acquistarne uno, in deroga ai divieti dal 1931 in vigore in Italia.
Sono cinque i giornalisti morti finora in Ucraina, a meno che mentre leggete la Spoon River non si sia allungata con qualche croce in più. Cinque famiglie straziate e cinque picconate alla libertà di parola, alla nostra possibilità di conoscere quello che accade nel teatro bellico. «Gli occupanti russi - denuncia su Telegram la responsabile per i diritti umani del parlamento ucraino Lyudmila Denisova - stanno combattendo contro la copertura obiettiva dei loro crimini di guerra: stanno uccidendo e sparando sui giornalisti». «La situazione per i giornalisti in Ucraina - dice angosciato Ricardo Gutierrez, segretario della Federazione Europa dei Giornalisti (Efj) - si fa ogni giorno più drammatica. Riteniamo che ormai i giornalisti vengano deliberatamente presi di mira allo scopo di creare terrore e di impedire che emerga la verità. Non si tratta di errori. Sono crimini di guerra e chiediamo l'istituzione di un Tribunale speciale per i crimini commessi in Ucraina».
Cinque morti, quindi, e almeno 35 feriti. Il più iconico l'americano Brent Renaud, giornalista e film-maker di una certa notorietà, che aveva in passato lavorato anche per il New York Times. Il 13 marzo è stato colpito al collo da una raffica di colpi sparati ad altezza d'uomo dai militari russi a un check-point, mentre filmava i profughi in fuga da Irpin, alle porte di Kiev. Con lui altri due colleghi, rimasti feriti in modo non grave. La morte di Renaud ha turbato l'America che ha pianto un suo figlio che non aveva armi in mano, ma una telecamera. E ha spinto Il sindaco di Irpin Oleksandr Markushin a chiudere la città ai giornalisti, una resa che suona come uno schiaffo.
Prima di lui era toccato a Viktor Dudar, un giornalista investigativo di Zhovkva, nell'oblast' di Leopoli. Lui non stava facendo il suo lavoro di cronista, ma combatteva in prima linea, come aveva già fatto in Donbass nel 2014. Malgrado avesse una moglie e una figlia. È caduto durante una battaglia con le truppe russe vicino alla città meridionale di Mykolaiv.
Ancora, il 2 marzo era caduto il cameraman della televisione ucraina Live Yevhen Sakun, 49 anni, ucciso in un attacco missilistico rivolto contro strutture civili a Kiev mentre stava lavorando. È stato identificato dal suo tesserino professionale.
Siamo a lunedì. Il corrispondente della Fox Benjamin Hall, statunitense, il suo cameraman Pierre Zakrzewski, britannico, e una produttrice e giornalista ucraina, Alexandra Kuvshinova, erano su un'auto nei pressi del villaggio di Gorenki, non lontano da Kiev. È piombata su di loro una granata russa, o forse un colpo di mortaio, poco importa.
Zakrzewski, 55 anni, una grande esperienza in Afghanistan, Siria, Irak, e la Kuvshinova sono morti, Hall è stato ferito gravemente e gli è stata amputata una gamba. Probabilmente ce la farà, anche se non è cosciente.Non ci sono dubbi: ne uccide più la granata della penna e della videocamera.
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