Quando D'Alema mise il primo tetto agli stranieri nelle classi

Il tetto agli stranieri in classe non è un'invenzione della destra italiana. L'esecutivo di D'Alema nel '99 varò una norma per evitare le aule ghetto. Ma nessuno poi l'ha applicata. Rampelli (FdI): "Da somari accusare adesso il centrodestra"

Foto di repertorio
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Il tetto agli stranieri in classe non è un'invenzione della destra italiana. Il ministro dell'Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha proposto l'adozione di un limite. La tesi è che l'integrazione sia favorita quando in aula è presente una maggioranza di studenti italiani. L'opposizione ha scatenato una bufera. Ma il «campo largo» o quel che ne resta dovrebbe guardare meglio nel cassetto dei ricordi di famiglia.

Nel 1999, un governo di centrosinistra ha messo nero su bianco una misura fondata sulla stessa ratio della proposta Valditara. La fonte è un decreto firmato dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e pubblicato il 31 agosto 1999. Quello che riguarda un decreto legislativo inerente il «regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero». Il premier era Massimo D'Alema, subentrato al primo esecutivo di Romano Prodi. Non esattamente un conservatore identitario o sovranista. E il ministro dell'Istruzione era Luigi Berlinguer. Ebbene, nel testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale si legge ancora che «il collegio dei docenti formula proposte per la ripartizione degli alunni stranieri nelle classi: la ripartizione è effettuata evitando comunque la costituzione di classi in cui risulti predominante la presenza di alunni stranieri». Sì, proprio la famosa e oggi tanto stigmatizzata quota. È un regolamento che, per usare un eufemismo, non è stato applicato granché. Nell'articolo 45 si specificava anche l'esistenza di un tetto: era previsto il 50%.

Se ne è ricordato Fabio Rampelli, che ai tempi ha dato vita a una vera e propria battaglia sulle cosiddette classi ghetto. «A Roma - ha fatto presente il vicepresidente della Camera, esponente di Fdi - una scuola aveva una classe con 20 bambini cinesi e italiani, un'altra aveva un solo bambino italiano o italofono su 24 bengalesi, la Carlo Pisacane a Tor Pignattara». «Questo squilibrio - insiste Rampelli - denunciato anni fa e ora divenuto patologico, indusse il governo D'Alema a introdurre limiti numerici di presenza di alti numeri di stranieri nelle classi proprio per favorire la loro integrazione». Poi la questione va avanti. Il tema della Carlo Pisacane e degli altri istituti scolastici viene ripresentato al ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini durante il quarto governo Berlusconi. L'ex esponente di Forza Italia, ora in Azione, procede con una circolare che però viene boicottata da molti collegi dei docenti, garantiti dall'autonomia scolastica. E così si arriva a oggi, con il governo guidato da Giorgia Meloni che riflette sul da farsi per evitare che la qualità dell'insegnamento si abbassi. In Europa esistono più sistemi: quello delle quote, l'affiancamento, i corsi di recupero pomeridiani per compensare i gap sulla lingua e sulla cultura. Difficile però che il problema venga negato come fa invece la minoranza parlamentare presente in Italia.

«Chi grida oggi allo scandalo è un somaro, ignora o dimentica chi fu l'artefice di quella decisione e come al solito strumentalizza problemi seri invece di affrontarli per risolverli», chiosa Rampelli. Del resto il centrosinistra, nonostante l'evidenza dettata anche dalle scelte passate di D'Alema, continua a condannare la proposta di Valditara. «Chi sono - domanda la deputata dem Ouidad Bakkali - gli stranieri? Perché le pongo una semplice domanda», aggiunge, riferendosi sempre al ministro. «A me in quale percentuale mi avrebbe collocata? Nel 20% degli stranieri' (bhuuuuu paura) o nel 80% degli 'italiani' (certificati Doc)?». Il fenomeno dell'abbandono scolastico viene omesso. Le famiglie italiane che fuggono dalle scuole ghetto viene dimenticato.

I problemi legati alla qualità dell'insegnamento, che in Ue sono riconosciuti e affrontati, negati. Per la sinistra odierna è una questione di buonismo e poco più. Persino l'epoca di D'Alema appare preferibile, al netto della mancata applicazione.

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