Se la situazione non fosse tragica (tra guerra, crisi energetica, pandemia, carestie), la piccola farsa inscenata goffamente ieri dai 5Stelle a Montecitorio, sfilandosi dalla maggioranza per non votare il Decreto Aiuti su cui la settimana scorsa hanno approvato la fiducia, sarebbe comica.
Ma il contesto è serio, e dunque il premier Draghi sceglie di mettere ognuno davanti alle proprie responsabilità, e a sera sale al Colle per segnalare al capo dello Stato la gravità del comportamento di un pezzo della maggioranza, e delle sue conseguenze. Forza Italia, con Silvio Berlusconi, ha infatti immediatamente messo sul tavolo una richiesta di «verifica», accusando M5s di «giocare» con «schizofrenia politica» sulla «pelle dell'Italia». «È inaccettabile - dice il leader di Fi - chiediamo una verifica di maggioranza per comprendere quali forze intendono sostenere il governo, e non a fasi alterne». La Lega gli ha subito dato manforte, per far venire allo scoperto le difficoltà politiche del centrosinistra, col Pd che si dibatte tra un alleato ormai inaffidabile («Conte? Un clown che non fa più ridere», infierisce Matteo Renzi) e un governo da difendere. Il Nazareno invita i 5S alla «responsabilità» e punta tutte le sue speranze sull'incontro di oggi tra il premier e i sindacati: da lì potrebbe arrivare la proposta di un «patto sociale» per affrontare la crisi che, è l'auspicio, lascerebbe del tutto isolato Conte. Letta spera nella sponda di Beppe Grillo, che ieri concionava sull'«urgenza» del salario minimo (versione Orlando) che potrebbe offrire ai grillini l'alibi per rientrare nei ranghi.
La scena: alla Camera, di lunedì si tiene il voto finale sul Decreto Aiuti, su cui i grillini hanno pochi giorni fa votato la fiducia. Perché il provvedimento è ottimo, spiega lo stesso capogruppo 5S Davide Crippa, in uno spericolato intervento in cui chiede ai colleghi parlamentari di essere «onestamente intellettuali» (voleva dire, si immagina, «intellettualmente onesti», ma il caldo lo avrà confuso). «Contiene misure importanti che danno risposte ai cittadini, e interventi molto utili e positivi a sostegno di lavoratori e imprese, con grandi passi avanti», cui «abbiamo dato sostegno esplicito col voto di fiducia». E quindi? Quindi non lo votiamo, spiega Crippa da onesto intellettuale qual è, per via del termovalorizzatore a Roma. La (surreale) spiegazione di Conte sul cambio di voto è questa: «Non abbiamo votato per una questione di coerenza e linearità».
Il provvedimento ovviamente passa, certificando l'irrilevanza numerica di quel che resta dei Cinque Stelle: 313 presenti, 266 sì e 47 no. Ma il problema politico innescato dal confuso priapismo oppositivo dei contiani resta, e ora si sposta al Senato: che succederà giovedì nel voto di fiducia sul medesimo provvedimento? Se uscissero anche lì dall'Aula si aprirebbe una frattura nella maggioranza, con conseguenze imprevedibili.
Il Pd è in grande allarme: «Rischiamo di restare col cerino in mano», dice un dirigente. Per questo il mantra diffuso dal Nazareno, che chiede ai suoi di tener la bocca chiusa, è: «Non crediamo nello strappo, e lavoriamo perché non succeda».
Ma l'insofferenza verso i 5S è ai livelli di guardia se persino una esponente della sinistra come Laura Boldrini li bastona impietosamente: «Il metodo di Conte è totalmente sbagliato: per far pesare la propria esistenza mette in gioco la stabilità del Paese con scelte gravissime».
Andrea Marcucci accusa il capo grillino di tentare «un nuovo Papeete», come quello messo in scena contro di lui da Salvini. L'ex grillino Emilio Carelli infierisce: «Se Conte decide che giovedì non vota, fa anche dimettere i suoi ministri o no?». E dalle stesse file grilline c'è chi dà una spiegazione assai prosaica della tenzone: altro che crisi, basterebbe un bel «rimpasto» a risolvere tutto, spiega Giulia Grillo, perché la scissione di Di Maio ha lasciato M5s a corto di poltrone.
La decisione di non partecipare al voto, in verità, è arrivata a pochi minuti dal voto medesimo: per tutta la mattinata, a Montecitorio, i deputati M5s vagavano come anime in pena senza sapere cosa avrebbero fatto di lì a poco.
Conte, descritto dai nemici interni «in stato confusionale» si lambiccava sul da farsi, strattonato da una parte e dall'altra da governisti e guerriglieri. A venti minuti dal voto decide per l'uscita dall'aula. Ma di qui a giovedì?
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