Morto Raisi, se ne farà un altro. Quasi uguale. Con politiche internazionali e interne identiche a quelle che hanno travolto il Medioriente e hanno tenuto il popolo iraniano. Si può vedere così il domani geopolitico che si configura già in queste ore dopo la morte di Ebrahim Raisi e dell'attivo ministro degli Esteri Hossein Amir Abdollahian. Già nelle quindici ore di ricerca dei resti degli uomini di stato iraniani, l'ayatollah Khamenei ha mobilitato le Guardie della Rivoluzione a protezione delle zone e degli edifici sensibili mentre la soddisfazione della gente cercava di emergere, subito soffocata, con canti e fuochi d'artificio. Ma, al solito, la gente dell'Iran non ha ricevuto dal mondo nessun deciso segnale di sostegno. Al contrario si è levato un coro di sostegno a Teheran fra cui forse la più bizzarra quella dell'Aiea, l'agenzia atomica, che ha avuto innumerevoli corpo a corpo con quel Paese il cui maggiore obiettivo è da decenni la bomba e che ormai l'ha quasi confezionata alla faccia dell'Agenzia stessa, che ha tenuto persino un minuto di silenzio alla sua assemblea. Le fanno eco le sentite condoglianze di Onu, Ue, Putin, Cina, di numerosi Paesi che dimostrano così solo quanta paura faccia l'Iran oggi.
La grande strategia di attacco all'Occidente (e in primis della distruzione di Israele) è stata con sapienza incatenata alla strategia della conquista islamista del Medioriente, in cui Soleimani seppe aprire lo Stato sciita ad alleanze sunnite indispensabili alla conquista del terreno circostante Israele. Hamas è stato il prescelto nell'educazione all'eccidio del 7 ottobre. L'Iran si è reso un alleato prezioso anche con l'abilità nella costruzione di droni e altre armi per la Russia. Raisi morendo lascia in piedi soprattutto la costruzione oppressiva interna col suo soprannome «il macellaio di Teheran». La biografia legata dagli anni 80 alla decine di migliaia di esecuzioni di prigionieri di guerra iracheni, poi di dissidenti e con la sua persecuzione omicida contro le donne «malvelate».
Nei due anni in cui è stato ministro degli Esteri, Amir Abdollahian, allievo diretto di Qassem Soleimani, ha costruito un'autostrada di rapporti internazionali imperniati sull'odio antioccidentale. Capace di dotto eloquio, ha forgiato un rapporto innovativo con l'Arabia Saudita per strapparla al disegno americano di farne un pilastro dei Patti di Abramo. La politica Raisi-Abdollahian è la storia di due fautori della linea dura con oasi colloquiali e diplomatiche per, evitando l'escalation improvvisa e consentire un comodo sentiero di conquista. Da una parte gli incontri con gli americani in Oman di cui l'ultimo la settimana scorsa fra Brett Gurk, responsabile per la Casa Bianca del Medioriente, e inviati di Teheran; dall'altra l'eccidio programmato del 7 ottobre.
I Pasdaran hanno una metodologia che combina potere militare e paramilitare, forniscono denaro e addestramento, portando l'influenza e il potere di Teheran in Libano (gli Hezbollah hanno 250mila missili), Yemen, Gaza, Siria, Irak, West Bank. L'idea del regime è che coi continui attacchi la vita in Israele diventi insostenibile, e che intanto la grande bandiera islamista che è l'odio per Israele divenga irresistibile. L'investimento sciita nella causa palestinese, cuore della Fratellanza Musulmana, crea uno spazio internazionale islamista, che provoca un applauso sonoro come quello che si è potuto notare nelle parole dedicate da Erdogan all'incidente di Raisi.
Non ci sono ragioni di immaginare un cambiamento di rotta: si può strologare sull'interesse che aveva il figlio di Khamenei a diventare il successore di suo padre: ora che Raisi è morto se non succede qualcosa il popolo iraniano avrà questo regalo. Niente di nuovo all'orizzonte. Solo la possibilità che in tempi molto brevi, dato che nessuno ha il coraggio di opporsi, l'ayatollah potrà dare ordini di presentare al mondo la sua nuova bomba atomica, nuova di zecca.
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