Sudan, il generale "rapisce" il premier. Minacce Usa e Ue: "Tagliamo gli aiuti"

Proteste contro il governo militare, dieci manifestanti uccisi. La mente del golpe tiene in ostaggio il primo ministro deposto

Sudan, il generale "rapisce" il premier. Minacce Usa e Ue: "Tagliamo gli aiuti"

Altra giornata di fuoco in Sudan. I manifestanti sono tornati nelle strade dopo il colpo di stato militare di lunedì. Cantavano e sventolavano bandiere, hanno bloccato le strade nella capitale Khartoum e in tutto il Paese. I soldati hanno aperto il fuoco sulla folla e, secondo un primo bilancio non ufficiale, hanno ucciso 10 persone. «Il governo civile è una scelta del popolo», urlavano i dimostranti mentre erigevano barricate di pneumatici in fiamme e portavano sulle spalle la bandiera sudanese, un tricolore rosso-bianco-nero, con un triangolo verde sul lato, che utilizza i colori panarabi. Erano presenti anche molte donne alle proteste che gridavano «no al governo militare».

Poi in una conferenza stampa in tv è comparso il generale Abdel Fattah al-Burhan, la mente del golpe. Ha affermato che il putsch di lunedì era giustificato per evitare la «guerra civile» e che il primo ministro Abdullah Hamdok è al sicuro («a casa mia»), tornerà alla sua abitazione presto e «temevamo per la sua stessa vita». Ha poi aggiunto che il Sudan è ancora impegnato nella transizione verso un governo civile, e le elezioni sono previste per luglio 2023. Ma il colpo di stato è arrivato meno di un mese prima della prevista consegna da parte di Burhan della leadership del Consiglio che guida il Paese a un civile, un passo che avrebbe diminuito il potere dei militari. Durante il discorso ha detto che entro la fine della settimana saranno formati gli organi di giustizia e il consiglio legislativo. Quest'ultimo sarà composto da giovani non iscritti ad alcun partito. Ha anche affermato che nelle prossime ore verranno ripristinate le reti internet e per i cellulari. Ha poi spiegato che «gli affari del Paese saranno gestiti da un governo tecnocrate indipendente in cui saranno rappresentate persone di ogni ceto sociale». Burhan sembrava voler rassicurare il pubblico sul fatto che i militari non manterranno il potere a lungo. Hamdok invece ha accusato i leader militari di agire di concerto con gli islamisti, che hanno sostenuto un governo militare, e altri politici legati al National Congress Party di Omar al-Bashir, sciolto nel 2019.

Il colpo di stato ha suscitato la condanna globale. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si riunirà presto per discutere della crisi. Gli Stati Uniti con Regno Unito, Ue, Onu e Unione africana, di cui il Sudan è membro, hanno chiesto il rilascio dei leader politici. Bruxelles ha anche minacciato, per bocca del capo della diplomazia europea Josep Borrell, di sospendere gli aiuti finanziari al Sudan se i militari non restituiscono «immediatamente» le leve del potere. E anche gli Stati Uniti stanno sospendendo «la consegna di 700 milioni di dollari in fondi di sostegno economico di emergenza al Sudan, che avrebbero dovuto sostenere la transizione democratica del Paese». Il segretario generale dell'Onu Antonio Guterres ha spiegato invece che «le divisioni geopolitiche» stanno impedendo al Consiglio di sicurezza di adottare misure forti mentre i Paesi di tutto il mondo sono alle prese con la pandemia e i problemi sociali ed economici. E ha poi sottolineato come «i leader militari sentono di avere una totale impunità».

Anche la Russia sembra preoccupata.

«Il popolo sudanese deve risolvere da solo la situazione nel Paese il più rapidamente possibile e senza alcuna perdita di vite umane», ha detto il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov. I diplomatici di Francia, Belgio e Svizzera hanno dichiarato le loro missioni «ambasciate del popolo sudanese e della loro rivoluzione».

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