La striscia d'asfalto è una linea retta sparata dritta verso nord. La strada, stretta, dissetata e ingobbita, solca come una lama i boschi di larici e salici ingialliti dall'autunno. All'orizzonte fanno capolino, di tanto in tanto, il letto del fiume Dniepr e, più in qua, due nere ciminiere puntate al cielo. Poi, mentre l'auto divora la strada, ecco qualcos'altro. Allineate dietro alle ciminiere sei squadrate fortezze di cemento rinchiudono ciascuna una torre cilindrica sovrastata da un'altra ciminiera. Sono i suoi sei reattori. L'impianto è l'incubo che ritorna. È la nuova Chernobyl resuscitata - quarant'anni dopo - dal conflitto ucraino russo. I confini di quell'incubo sono chiari. Il corso del fiume Dniepr separa la centrale e i territori della provincia di Zaporizhzhia, controllati dai russi, dalle zone sulla riva settentrionale ancora in mani ucraine. Dal 4 marzo scorso, quando i russi ne hanno occupato il perimetro, la centrale nucleare di Enerdogar è dunque una vera e propria linea del fronte. Un evento senza precedenti nella storia del rischio nucleare. Fattosi ancor più drammatico la scorsa estate, quando missili e colpi di mortaio hanno incominciato a cadere con cadenza quotidiana sul perimetro della più grande centrale atomica d'Europa, mettendo a repentaglio i suoi sei reattori. Un rischio che, ai primi di settembre, ha spinto l'Aiea (Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica) a inviare una delegazione di esperti per valutare la situazione e richiamare alla prudenza entrambe le parti.
Per giornalisti e stranieri, la strada verso le porte di quest'incubo passa obbligatoriamente dall'ufficio di Alexander Volga, il sindaco della città di Enerdogar da cui prende il nome l'impianto nucleare. Messo alla guida del comune subito dopo l'arrivo dei russi e la destituzione del suo predecessore Alexander Volga, riceve gli ospiti in un ufficio dove sono esposti i resti di mortaio, obici e missili Himars caduti sul palazzo dell'amministrazione. Alexander li mostra con orgoglio, poi accompagna tutti sul lato nord della facciata dove alcuni missili hanno fatto crollare gli intonaci e aperto larghe crepe nello scheletro di cemento del palazzo. «Voi stranieri - scherza il sindaco mentre ci accompagna in auto verso la centrale - vi preoccupate tanto per le fughe radioattive, ma noi qui siamo molti più preoccupati per i missili che ci cadono in testa». Dieci minuti dopo, siamo davanti al muro di cemento armato sovrastato da filo spinato che delimita il perimetro dell'impianto. Il varco d'accesso, un doppio e grosso cancello telecomandato d'acciaio giallo, è sotto il controllo dei militari russi. I soldati esaminano da cima a fondo qualsiasi mezzo in entrata prima di aprire la seconda cancellata e garantire l'accesso ai viali dei reattori. Una volta dentro, il sindaco indica all'autista le principali soste del nostro giro. La prima è la parte posteriore di un missile appoggiata sull'erba che circonda un reattore. Il secondo è il muro di cemento, annerito da un colpo di mortaio, del palazzo principale della centrale. «Per capire chi li spara - spiega - dovete solo considerare la traiettoria, in base a quella capirete che possono arrivare solo dalle posizioni ucraine. Anche perché i soldati russi non hanno motivo di spararsi in testa». Gli facciamo notare che più fonti attribuiscono proprio ai russi la responsabilità dei colpi caduti qui attorno. «Le tesi di voi europei sono talmente contrarie al buon senso da far sorridere - replica il sindaco - guardatevi attorno. È evidente che chi spara sta dall'altra parte del fiume; i colpi arrivano da Nikopol e da Marganec, le città dove si trova l'esercito ucraino. Se non ci credete, vi mostro i resti degli ordigni. Sono tutti missili e colpi di mortaio statunitensi di cui l'esercito russo non dispone. Quelli dell'Aiea (Agenzia internazionale per l'energia atomica) già lo sanno perché abbiamo offerto loro la documentazione».
Mentre ci mostra la facciata annerita dalle granate di un edificio adiacente alla centrale, Alexander Volga conferma che l'impianto verrà sottratto alla gestione ucraina e trasferito a Rosatom, l'agenzia atomica russa. «L'abbiamo già spiegato all'Aiea, l'impianto è stato costruito dall'Unione Sovietica ed è quindi naturale che la sua produzione sia destinata sia ai territori dell'Ucraina, sia a quelli passati alla Russia dopo il recente referendum. Anche per questo ci aspettiamo che il controllo passi a breve da Kiev a Mosca. Ovviamente le forniture all'Ucraina dipenderanno dal suo futuro.
Oggi con il regime di Kiev è impossibile trattare, ma se il governo attuale lascerà il posto ad uno pronto ad accettare la neutralità del paese e fare gli interessi del popolo, Mosca non avrà problemi a distribuire in tutta l'Ucraina l'energia prodotta qui a Energodar».
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