Di Antonio Tajani*
Il quasi fallimento del Consiglio europeo di giovedì è la sfortunata dimostrazione che, a un anno dall'inizio della pandemia, i problemi sono ancora tanti. Sono stati fatti errori: siamo indietro sui piani vaccinali in tutta l'Unione ed è evidente che l'approccio negoziale dell'Ue sia stato troppo leggero. Bene l'aver agito insieme, ma l'acquisto dei vaccini è stato trattato come l'acquisto di un'auto: paghi, vai dal concessionario dopo qualche mese, ma l'auto non c'è. Ti puoi lamentare, ma il problema, che in questo caso si traduce in migliaia di morti al giorno, resta.
Non era difficile immaginare che sui vaccini si sarebbe aperta una gara tra blocchi e nazioni visto che prima si vaccina e prima si può riaprire e dunque far ripartire l'economia.
L'Ue ha finora esportato 77 milioni di dosi in tutto il mondo, ma abbiamo ricevuto zero da Usa e Gran Bretagna. Perché AstraZeneca rispetta il contratto con quest'ultima e non con noi? Hanno cominciato prima, certo. Ma non sarà forse che, essendo una società inglese, subisce la moral suasion del suo governo? A noi è mancata la politica che doveva governare il negoziato di acquisto: è mancata quella pressione «politica» sui produttori per far valere le nostre ragioni, che non sono da meno di quelle degli altri. Se il democratico Joe Biden dice oggi «prima gli americani», noi diciamo «prima gli europei». Come Europa abbiamo giustamente finanziato la ricerca sui vaccini che sono arrivati a tempo di record, abbiamo siti produttivi e aziende all'avanguardia, ma, almeno per ora, nessun grande gruppo che produce vaccini è europeo.
Ecco perché, da europeisti, da uomini e donne che credono da sempre nel libero mercato, diciamo oggi che è necessario il blocco delle esportazioni, che bisogna pretendere condizioni di reciprocità: a mali estremi, estremi rimedi. Su questo tema il presidente Mario Draghi troverà in noi un appoggio convinto.
Serve un cambio di passo immediato da parte dell'Ue, non regole ingessate che, al mutare delle condizioni, si trasformano in trappole. Abbiamo chiesto da subito un'azione comune europea per fronteggiare la crisi economica, dicevamo da tempo che bisognava chiudere la stagione dell'austerità e avviare quella dello sviluppo. Bene dunque gli acquisti di titoli di Stato della Banca centrale europea, il programma Sure, l'azione della Banca europea di investimenti. Di fronte ad un Pil in calo di quasi il 10% e con il rischio di un milione di nuovi disoccupati, servono misure straordinarie: non possiamo sprecare la grande occasione dei 209 miliardi offerti dal Recovery fund. Bisogna fare presto e mettere a terra quanto prima i progetti e le grandi riforme che, finalmente, sono possibili: fisco, giustizia, pubblica amministrazione. Chiediamo di concludere l'iter di approvazione parlamentare nazionale quanto prima, come hanno già fatto 13 altri parlamenti nazionali. Bisogna investire per far ripartire il mercato del lavoro e restituire ai nostri figli un'Italia più moderna, efficiente e sicura: Green deal e transizione ecologica, ai quali sono vincolate più di un terzo delle risorse del Piano, si costruiscono insieme alle aziende e non contro. Non devono servire ad aumentare le tasse come con la plastic tax, ma consentiranno per esempio, di ridisegnare un sistema di trasporto pubblico «pulito», più efficiente e anche sano: le scuole sono state chiuse, con grande sacrificio di bambini e famiglie, perché autobus e treni sovraffollati - e non gli istituti - si sono rivelati luoghi di contagio.
Dobbiamo tuttavia fare i conti con la realtà: il Recovery partirà a pandemia ancora in corso.
Per questa ragione serve flessibilità e, dunque, chiediamo al governo che si spenda affinché venga prevista la possibilità di rimodulare il piano in corso d'opera sia in termini di misure che di tempistica di esecuzione. Bisogna semplificare e accelerare; serve meno burocrazia ed una politica capace di visione, flessibilità e realismo.*coordinatore di Forza Italia e vicepresidente del Ppe
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