Tregua, i "veti" di Hamas. Bibi alza la posta sui rapiti

Lite sui dettagli. Il premier: "Ostaggi tutti liberi e cessate il fuoco prolungato". I jihadisti: "Aspettiamo le mappe" ma Israele nega

Tregua, i "veti" di Hamas. Bibi alza la posta sui rapiti
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L'annuncio ufficiale non c'è ancora. «Hamas non ha risposto perché Israele non ha presentato le mappe del ritiro delle sue truppe da Gaza», spiega alla Reuters un funzionario del gruppo estremista palestinese. Israele in serata smentisce l'affermazione della fonte all'agenzia tedesca ma «l'accordo è questione di ore o giorni», ammette il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che si dice «pronto a un cessate il fuoco prolungato, a condizione che vengano rilasciati tutti gli ostaggi». I tempi dello stop ai combattimenti e il ritiro israeliano da Gaza restano i nodi controversi. La bozza di intesa per una tregua in tre fasi nella Striscia di Gaza è pronta, ma si tratta su questioni in grado di fare la differenza fra i due contendenti, 15 mesi dopo l'inizio del conflitto del 7 ottobre 2023 e a meno di una settimana dalla fine della presidenza Biden e dall'inizio dell'epoca Trump alla Casa Bianca. Hamas ha confermato che «i colloqui hanno raggiunto la fase finale» e si è augurato un «accordo chiaro e inclusivo». L'intesa entrerà in vigore 48 o 72 ore dopo la sua ufficialità.

Netanyahu ha convocato per ieri sera una riunione d'urgenza con i vertici della sicurezza, dell'Esercito (Idf) e dell'intelligence, David Barnea per il Mossad e Ronen Bar per lo Shin Bet. Le grandi linee dell'accordo sono definite, almeno per quel che riguarda la prima fase della tregua, che prevede una tranche di 42 giorni (pari a sei settimane) in cui saranno liberati 33 ostaggi, in gran parte vivi. I primi tre rapiti sarebbero rilasciati il primo giorno e solo allora l'esercito israeliano comincerà il ritiro (parziale) dalla Striscia di Gaza. Gli ultimi dettagli sono stati discussi fino a ieri sera a Doha, in Qatar, da una delegazione di alto livello dalla Jihad islamica, l'altro gruppo estremista palestinese. Sono 98 in tutto gli ostaggi nelle mani dei jihadisti di Gaza, tra i quali molti deceduti in prigionia. Fra i primi 33 liberati potrebbero esserci i due fratellini Kfir e Ariel Bibas, che avevano rispettivamente 9 mesi e 4 anni quando furono strappati dal kibbutz di Nir Oz con la loro mamma e che i jihadisti hanno dato per morti nei mesi scorsi, circostanza mai confermata da Israele. Ci saranno con molta probabilità anche 5 soldatesse, che Israele ha deciso di scambiare in cambio di 50 detenuti palestinesi per ognuna di loro, per un totale di 250. In tutto sarebbero un migliaio i palestinesi liberati, tra cui circa 190 che hanno scontato condanne di 15 anni e anche alcuni ergastolani. Ma Israele non restituirà il corpo del defunto leader di Hamas, Yahya Sinwar, non consentirà ai liberati di andare in Cisgiordania, non rilascerà nessuno dei miliziani che hanno partecipato al 7 ottobre e non scarcererà Marwan Barghouti, leader della prima Intifada condannato all'ergastolo.

Durante la prima fase l'Idf si ritirerebbe dai centri abitati e, dopo una settimana e il rilascio di altri ostaggi, ai palestinesi verrebbe consentito il ritorno nelle proprie case nel nord della Striscia (a piedi lungo la strada costiera o in auto e carri dopo controlli ai raggi X in collaborazione con Qatar ed Egitto). Circa 600 camion di aiuti umanitari entrerebbero ogni giorno a Gaza. L'accordo prevederebbe la permanenza dell'Idf nel corridoio Filadelfia, tra Gaza ed Egitto, e una zona cuscinetto di 800 metri ai confini est e nord di Gaza.

Le famiglie degli ostaggi hanno incontrato Netanyahu, sollevati dalle notizie ma preoccupati per l'evoluzione dell'intesa, delineata solo nella prima fase. Della seconda, durante la quale sarebbero liberati gli ostaggi maschi, si parlerà infatti dal 16mo giorno. I parenti temono intoppi, che compromettano il ritorno degli altri rapiti e delle salme (passaggio previsto nella terza fase). Netanyahu ha ribadito «l'impegno a riportare tutti a casa, i vivi per essere riabilitati e i morti per essere sepolti». E ha posto proprio il loro ritorno come condizione per un cessate il fuoco «prolungato».

Per Oliver McTernan, direttore di Forward Thinking, organizzazione per la risoluzione dei conflitti, l'intesa non ci sarà fino al 20 gennaio, quando Trump giurerà: «Sarà il regalo di Netanyahu al nuovo presidente Usa», ha spiegato l'esperto alla Bbc.

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