MbS, Mohammed bin Salman, l'erede del regno dell'Arabia Saudita, è un misterioso principe, appartiene alla cultura islamica ma guarda quella occidentale negli occhi, un giovane un po' crudele e un po' carico di doni. A New York, durante l'Assemblea Generale dell'Onu, ha però mostrato tutte le sue carte durante un'intervista tv, ha riparlato della vicenda del giornalista Kashoggi ammettendone la tragicità e promettendo rinnovamento e giustizia «perché la sicurezza di ciascuno sia garantita». Ma soprattutto si è avventurato nel progetto pratico, rivoluzionario, di un nuovo Medio Oriente e persino di un mondo diverso.
Salman ha disegnato il prossimo riconoscimento di Israele, e di fatto un'alleanza strutturale fra il mondo arabo e l'Occidente come non è mai esistita prima, un accordo solido di chi cerca la stabilità senza invasioni o scontri fanatici: saettando il suo sguardo scuro dalla rete di Fox News e spostando nello studio il centro decisionale delle Nazioni Unite, all'intervistatore Bret Baier in breve ha annunciato che procede l'accordo triangolare con gli Stati Uniti e lo Stato Ebraico. E ha fatto capire che siamo vicini: «Non lo abbiamo mai sospeso» e «va avanti di giorno in giorno». Netanyahu? «Lavoriamo con ogni governo», e anche «è il maggiore accordo concluso dalla fine della Seconda Guerra Mondiale». Perché? Perché se va in porto, le grandi autocrazie come la Russia e Cina insieme all'Iran e ai loro proxy come gli Hezbollah, Hamas, i gruppi terroristici e criminali che in Africa e in America Latina li sostengono, avranno a che fare con una fascia - se le cose vanno avanti dal nucleo di Salman - formata da culture miste, quella occidentale e quella del mondo sunnita, più l'India, il Giappone, il Vietnam del Sud. E come star, Israele e gli Usa con le loro capacità tecnologiche e militari.
È il disegno che Biden ha portato a New York e nei suoi incontri, specie in quello con Netanyahu. Da nove mesi Bibi lo aspettava, ed esso ha visto la luce mercoledì in un albergo di New York. Non alla Casa Bianca come il Primo Ministro di Israele desiderava; ma Biden ha un debole per Netanyahu e così nonostante le aspettative della sinistra Usa, mentre i manifestanti fuori gridavano, c'è stato solo un accenno alla politica interna del governo di destra israeliano. Il presidente ha ricordato come la democrazia e il check and balance, sia una delle basi per l'alleanza «intoccabile» fra Usa e Israele, e Netanyahu ha vigorosamente concordato. Per tutti e tre i leader implicati è il futuro accordo la cosa più importante: Biden di fronte alla sfida delle prossime elezioni, vuole lasciare un segno che ricordi soprattutto come ha saputo fronteggiare con autorità, con inventiva strategica, l'autocrazia Russa, e salvare il mondo. Per bin Salman, è tempo di definire una base non periferica ma globale, oltre il petrolio, della sua Arabia saudita che, ha detto al giornalista di Fox, «è così grande che ogni cittadino del mondo, ha qualcosa a che fare con noi» Per Netanyahu, nei flutti di una fase che lo svillaneggia giorno dopo giorno usando lo scontro sulla riforma giudiziaria come arma politica contro di lui, si impone un ritorno alla grande politica, che per Israele ha sempre un nome solo: pace. Chi riesce a portarla, è un leader storico. L'accordo è una vicenda da premio Nobel per i protagonisti del triangolo magico, il più rivoluzionario «nuovo Medio Oriente». Se la legittimazione a Israele verrà dal Paese verso la cui Mecca tutti i musulmani del mondo pregano ogni giorno, se dopo la pace con l'Egitto, con la Giordania, dopo i Patti d'Abramo, l'Arabia Saudita accetterà Israele, sarà un punto d'arrivo. La normalizzazione.
Ognuno può darle significati diversi: gli ebrei sono indigeni plurimillenari, si tratterà di accettare un dato di fatto e renderlo politica. I palestinesi hanno fatto di Israele un Paese colonialista, imperialista, sfruttatore, e spesso il mondo li ha seguiti. Ma questo potrà cambiare coi tre punti di Biden e Netanyahu che toccano l'Iran («non permetteremo mai che raggiunga la bomba», dicono entrambi), la riforma («siamo fratelli nella democrazia», all'unisono) e soprattutto l'Arabia saudita. E che ovviamente, dovrà riguardare i palestinesi. Bin Salman ha dichiarato che l'accordo è vicino, che la discussione progredisce ogni giorno, che l'Iran farebbe una «brutta mossa («bad move»)se costruisse la bomba atomica» e che in quel caso (e qui MbS perde il suo piccolo sorriso) anche l'Arabia saudita dovrebbe avere subito la sua. E butta là le sue due condizioni fondamentali: «Per noi i Palestinesi sono molto importanti» dice, anche loro dovranno godere dell'eventuale accordo. Non va sulle solite formule di due stati per due popoli, non parla di occupazione. Lascia ai diplomatici impegnati da tempo il compito di definire la strada. Difficile capire come Netanyahu, userà quel successo certo formidabile per convincere la sua coalizione a cedere ai palestinesi territori, strutture, denaro; la tessitura politica sarà complessa, prima forse si tratterà di non costruire nuovi insediamenti, o di fornire subito molto aiuto umanitario. Difficile, ma se Bin Salman già ne parla, forse o non ci sarà opposizione ferrea dalla destra estrema, Ben Gvir o Smotrich, oppure il governo attuale farà posto a un nuovo progetto. Infine, bin Salman vuole una struttura atomica per uso civile e ha spiegato bene che un uso militare sarebbe demenziale e autolesionista. Bin Salman ha l'aria di voler lanciare il suo Paese come un missile nel mondo del benessere, quello in cui le donne guidano e hanno il viso scoperto. Non è poco.
Ma gli oppositori di Netanyahu, che temono che un grande successo come quello dell'accordo gli consegni di nuovo il ruolo di leader imbattibile dopo i guai della riforma, si sono già scagliati contro la centrale saudita definendola una fonte di proliferazione nucleare minacciosa per tutti. Ma i sauditi, che ci lavorano ormai da decenni e si rivolsero a suo tempo persino al Pakistan, potrebbero invece costruire la loro centrale con il ben più pericoloso aiuto cinese o russo. Invece oggi si parla di un sistema controllabile dagli americani addirittura con meccanismi di chiusura in mano del governo Usa.
Ma per ora queste sono ipotesi: al momento Biden ha invitato Netanyahu alla Casa Bianca, forse, ha detto, entro il 2023. Ovvero, forse l'accordo è vicino davvero. Bibi ha incontrato Zelensky e Erdogan, di certo ne hanno parlato. Li riguarda.
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