Una proposta «straordinariamente generosa da parte di Israele». Per il segretario di Stato americano Antony Blinken, ieri in visita in Arabia saudita, la bozza sul tavolo delle trattative indirette, in corso al Cairo fra Hamas e Israele, include concessioni che potrebbero essere decisive per il «sì» dei terroristi palestinesi. L'Egitto si è detto ottimista e una delegazione israeliana composta da rappresentanti di Mossad, Idf e Shin Bet potrebbe partire per la capitale egiziana oggi, anche questo un segno incoraggiante, ma impossibile sapere se decisivo. Hamas si pronuncerà in queste ore e un via libera porterebbe a una tregua iniziale di qualche settimana, un giorno per ogni ostaggio liberato. Si spera in una quarantina di giorni di tregua, circa sei settimane, per 33 ostaggi liberi. Si lavora su un numero fra i 20 e i 33 rapiti (con precedenza a donne, malati, anziani e over 50), in cambio anche della scarcerazione di un primo gruppo di detenuti palestinesi. Israele chiedeva inizialmente 40 ostaggi liberi, un passo indietro, fra gli altri, che spiega la «generosità» di cui parla Blinken, ma anche la convinzione che dei 133 rapiti a Gaza, dopo ben 206 giorni, in cento sarebbero già morti. La seconda fase prevederebbe il ritorno degli altri ostaggi, compresi i soldati catturati e i cadaveri di chi non è sopravvissuto, oltre alla liberazione di un secondo gruppo di detenuti palestinesi, tra cui potrebbero esserci condannati per terrorismo. Sarebbe anche accordato ai palestinesi lo spostamento verso il nord di Gaza, che Hamas chiede da tempo, e un graduale, limitato ritiro dell'Idf da alcune posizioni nella Striscia. Sullo stop completo delle ostilità, Israele lo concederà solo dopo aver raggiunto tutti gli obiettivi.
Il capo della diplomazia americana, al settimo viaggio nella regione, ha lavorato ieri da Riad per il cessate il fuoco nella Striscia ma anche per piani di lungo termine. È «quasi concluso» - ha annunciato - il patto di sicurezza tra Stati Uniti e Arabia Saudita che comprende la normalizzazione delle relazioni con Israele». Washington è impegnata a una soluzione che porti a uno Stato palestinese dopo la fine della guerra. Un impegno annunciato anche dal «ministro degli esteri» della Ue Josep Borrell, secondo cui diversi Paesi europei riconosceranno lo Stato palestinese entro fine maggio. Di questo, come del futuro governo di Gaza, il segretario di Stato Usa, che in Arabia saudita ha incontrato il principe ereditario Bin Salman, ha discusso con il ministro degli esteri saudita Bin Farhan, prima dell'arrivo, oggi, in Giordania e Israele.
Ora, però, l'urgenza è il conflitto nella Striscia. Dal World Economic Forum di Riad, la capitale saudita dove Blinken ha anche incontrato il ministro degli esteri Antonio Tajani per scongiurare un deterioramento della crisi, il segretario di Stato Usa ha messo fretta ad Hamas, l'ha esortato a «decidere presto» e ha ribadito che il gruppo palestinese è la sola cosa che si frappone tra il popolo di Gaza e un cessate il fuoco. Se non si trovasse un'intesa, i piani israeliani di offensiva su larga scala a Rafah potrebbero concretizzarsi, mentre la città nel sud della Striscia viene già colpita dal cielo, come Gaza City, in raid che ieri hanno fatto circa 30 morti, portando a quasi 35mila le vittime. Blinken sottolinea la forte contrarietà americana per l'offensiva a Rafah, soprattutto perché gli Usa «non hanno ancora visto i piani per l'evacuazione» del milione e mezzo di civili nell'area, per i quali si prospetta un disastro umanitario. «Ci hanno assicurato che non andranno a Rafah finché non avremo avuto la possibilità di condividere veramente con loro le nostre prospettive e preoccupazioni», ha spiegato la Casa Bianca.
L'esito delle trattative con Hamas sarà decisivo. Ma c'è un forte timore. Il governo israeliano rischia che la Corte penale internazionale dell'Aja (Cpi) emetta mandati di arresto nei confronti del primo ministro Benjamin Netanyahu e di alti funzionari per crimini di guerra.
Secondo indiscrezioni, dopo la «pressione telefonica senza sosta» di Israele, Washington starebbe tentando «un disperato sforzo diplomatico» per evitare «un grave deterioramento dello status internazionale d'Israele». Si teme che i mandati d'arresto facciano naufragare la tregua.
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